Nacque nel castello di Arona sul lago Maggiore il 2 ottobre 1538, secondo figlio maschio in una famiglia di sei. Il padre, il conte Gilberto Borromeo, era un uomo buono e pieno di talento; la madre Margherita, che morì quando Carlo aveva solo nove anni, apparteneva alla famiglia dei Medici di Milano, non di Firenze, mentre il fratello minore della madre, Gianangelo, divenne papa Pio IV (1559-1565). Anche Carlo era un ragazzo devoto e serio; soffrì molto durante la sua vita, a causa di alcuni disturbi legati al linguaggio, probabilmente la balbuzie, considerata da qualcuno come segno di ottusità. In realtà, era molto intelligente, e la sua invalidità fu compensata dalla determinazione e da una straordinaria capacità di sacrificio. Ricevette la tonsura clericale a soli dodici anni e lo zio Giulio Cesare gli offrì l’abbazia benedettina di Arona, da anni tenuta dai membri della sua famiglia in commendam.
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Fu normale per Carlo ricordare al padre che, a parte le spese per la sua educazione clericale, tutte le entrate dell’abbazia appartenevano ai poveri e non potevano essere usate per nessun altro fine. Gilberto lo prese sulla parola; le lettere di Carlo ci dimostrano che, quando si recò a studiare, prima a Milano e poi a Pavia, prendendo con sé una piccolissima parte del denaro dell’abbazia, era continuamente senza soldi. Al conseguimento del dottorato nel 1559, entrambi i genitori erano già morti, perciò tornò a Milano, dove apprese che lo zio era stato eletto papa dal conclave riunitosi alla morte di papa Paolo IV (1555-1559).Il suo interesse principale fu l’arcidiocesi di Milano, e l’assenza forzata, insieme alle difficoltà della vita a Roma, lo fecero sentire a disagio; quando l’arcivescovo di Braga, Bartolomeo di Mardribus, visitò la città, Carlo gli confidò i suoi timori:
«Vedete la mia posizione. Siete consapevole di ciò che significhi essere nipote del papa, il nipote più amato? Le difficoltà sono infinite: sono giovane e non ho esperienza. Che cosa dovrei fare? Dio mi ha donato l’amore per la penitenza e talvolta penso di entrare in un monastero e di vivere come se al mondo ci fossimo solo Dio e io».
L’arcivescovo riuscì a rassicurarlo che Dio gli aveva affidato il compito di essere al servizio della Chiesa e che lui non avrebbe dovuto abbandonarlo, però aggiunse
I due punti in cui s’impegnò personalmente furono la redazione del catechismo e la riforma dei libri liturgici e della musica ecclesiastica (fu un sostenitore di Palestrina, al quale commissionò la Missa Papae Marcelli). Si può affermare con sicurezza, tuttavia, che fu la mente e lo spirito dominante dell’ultimo periodo di questo concilio riformatore, che approvò molti dei suoi più importanti decreti dottrinali e disciplinari.
Mentre il concilio era ancora in sessione, il fratello maggiore, Federico, morì e Carlo si trovò a capo della famiglia, perdita che gli provocò una nuova crisi(qualcuno, visto che non era ancora stato ordinato, gli suggerì di rinunciare al sacerdozio per sposarsi, ma Carlo aveva altro in mente).
Rinunciò alla sua posizione in famiglia in favore dello zio Giulio e nel 1563 tu finalmente ordinato sacerdote: due mesi dopo fu consacrato vescovo, ma non gli fu permesso ancora di raggiungere la sua diocesi che, dopo otto anni senza un vescovo residente, si trovava in uno stato di degrado deplorevole. Il suo vicario, aiutato da un gruppo di gesuiti, aveva fatto il possibile per adempiere al programma di riforme, ma senza successo; alla fine, il papa permise a Carlo di visitare la diocesi e di tenere un consiglio provinciale, evento a cui parteciparono dieci vescovi suffraganei, durante il quale colse l’opportunità di promuovere alcune direttive che incarnavano i decreti del recente concilio, specialmente quelli relativi alla disciplina, al tirocinio del clero e alla celebrazione del culto.
Amava molto il culto e non lo trascurò mai, per quanto potesse essere
occupato; la sua attività di predicazione era inevitabilmente ostacolata dalla balbuzie, ma riuscì a superarla tanto da riuscire a far appello ai sentimenti del popolo. Un amico. Achille Gagliardi, affermò:
«Mi sono sempre stupito di come, pur senza una naturale eloquenza e nulla d’attraente nei suoi modi, riuscisse a provocare tanti cambiamenti nel cuore dei propri ascoltatori. Parlava poco, con voce profonda e appena udibile, ma le sue parole avevano sempre un effetto».
S’interessò nella stessa misura dell’istruzione infantile, inducendo i sacerdoti parroci a svolgere lezioni di catechismo pubblico la domenica e nelle feste; inoltre fondò la congregazione della Dottrina Cristiana, con circa tremila catechisti che seguirono quarantamila allievi. In tutto questo lavoro di riforma, Carlo fu aiutato da un certo numero di ordini religiosi, come i gesuiti e i Chierici Regolari di S. Paolo, o barnabiti, poiché aveva contribuito alla revisione delle loro regole. Più tardi, nel 1578, di fronte al rifiuto dei canonici regolari di accettare alcune delle sue riforme, fondò una congregazione di sacerdoti secolari, gli Oblati di S. Ambrogio, che dopo aver pronunciato un semplice voto d’obbedienza al vescovo, avrebbero potuto ricevere da lui incarichi appropriati. La congregazione esiste ancora con il nome di Oblati di S. Ambrogio e di S. Carlo (Ambrosiani), e il cardinale Manning la prese come modello quando istituì gli Oblati di S. Carlo a Londra nel 1857.
Carlo inevitabilmente incontrò molte opposizioni e almeno due volte, nel 1567 e 1569, entrò in grave conflitto con le autorità civili, essenzialmente su questioni di giurisdizione. In entrambe le occasioni, gli eventi furono riferiti a papa Pio V e a re Filippo II di Spagna (Milano era sotto il governo spagnolo in quel periodo), e in entrambi i casi la questione si risolse a favore dell’arcivescovo. Carlo, nel frattempo, rimase irremovibile, e iniziò personalmente a mettere in atto le sue riforme nelle valli alpine a nord della città, dove la gente, abbandonata dai suoi predecessori, oltre che dal clero locale, aveva iniziato ad avvicinarsi al protestantesimo di Zwingli. Queste missioni furono interrotte brevemente nel 1569, anno in cui Carlo subì un attentato da parte di un membro dell’Ordine degli umiliati, che stava tentando di riformare senza alcun risultato.
Carlo Borromeo fu sepolto nella cattedrale di Milano e nacque immediatamente un culto, che si diffuse rapidamente; fu canonizzato da papa Paolo V (1605-1621) nel 1610. Gli artisti iniziarono a ritrarlo, da solo o in compagnia di altri santi, anche prima della canonizzazione: uno dei numerosi bei dipinti è di Giovanni Battista Crespi, conservato nella chiesa di S. Maria della Passione a Milano; inoltre nella chiesa di S. Carlo ad Arona, è conservato un reliquiario che contiene una copia della sua maschera funebre.
É INVOCATO: – contro la peste – come protettore dei catechisti
Fonte: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler
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