vergine e monaca (ca.1270-1317) 20 Aprile
I segni straordinari si videro
già alla sua nascita, ma tutta la sua vita ne

fu colma:
estasi, levitazioni e miracoli si susseguirono, pur non cambiando la sua devozione per
la preghiera, la penitenza e in totale umiltà.
Agnese nacque da
genitori benestanti nel
paese toscano di
Gracciano Vecchio, a pochi chilometri da Montepulciano; vi sono alcuni
dubbi sulla sua data di nascita; di solito si ritiene essere il 1268 ma
il suo primo biografo, il B. Raimondo da Capua (5 ott.), indica il
1274.
Appena la madre, Francesca Segni, la diede
alla luce, per qualche ora, nella camera, apparvero misteriosamente moltissimi ceri ardenti. La
bimba crebbe con una straordinaria inclinazione alla preghiera, che la
portò presto a desiderare la vita claustrale. Aveva circa
nove anni quando entrò nel locale convento delle suore del Sacco (così chiamate per gli abiti ruvidi) che seguivano una
vita austera.
Tra esse si distingue subito per la pietà sotto la guida della
maestra delle novizie, Suor Margherita. A partire da quel momento il
Signore la favorì di
straordinari carismi. Nella sua ininterrotta unione con Dio fu vista
più volte sospesa per aria.
Un giorno, meditando la Passione di Gesù, fu sollevata da una ardente
amore tanto in alto da giungere ad abbracciare il crocifisso posto
sull’altare.
Ammaestrata dallo Spirito Santo, Agnese crebbe assennata e ubbidiente.
Maria SS. Le apparve e le diede tre pietre dicendole; “
Figlia
mia, prima di morire costruirai un monastero in mio onore, prendi
queste tre pietruzze e ricordati che il tuo edificio dovrà essere
fondato sulla fede costante e la confessione dell’altissima e
indivisibile Trinità”.

Dopo un qualche tempo
le suore aprirono una nuova casa a Proceno, paesino
vicino a Viterbo, e Agnese entrò nella nuova comunità; divenne poi
economa e superiora della casa e per tale ruolo ottenne una speciale dispensa papale poiché aveva solo
quindici anni.
Sovente Dio cosparse di fiori il luogo in cui si soffermava a pregare in ginocchio, e le coprì il mantello di manna, divisa in molti grani a forma di croce. Il
giorno stesso in cui il vescovo andò a benedirle il velo e a insediarla
nel suo ufficio di badessa, la manna discese straordinariamente
abbondante su di lui, sui sacerdoti che l’accompagnavano e sulla mensa
dell’altare. Meravigliati, tutti ne raccolsero a piene mani e notarono con sorpresa che ogni grano aveva la forma di croce.
Agnese di quando in quando andava tutta sola a pregare nell’orto
accanto ad un olivo. Il Signore, perché non interrompesse la dolcezza
del colloquio che aveva con lui,
le mandò per dieci domeniche consecutive un angelo a comunicarla. In altre occasioni il celeste messaggero le portò
un pugno di terra presa nel luogo dove il Figlio di Dio aveva sparso il suo sangue, e
un coccio del catino in cui la Madonna aveva lavato tutte le mattine il Bambino Gesù.
Un giorno Agnese desiderò di vedere, il Signore. Nella notte
dell’Assunzione, Maria SS. le apparve con in braccio il Figlio divino e
glielo diede da baciare. Quando glielo richiese per ritornarsene in
Paradiso, Agnese si rifiutò di riconsegnarglielo. Prevedendo tuttavia di
non uscire vittoriosa da quella contesa,
afferrò una crocettina che il Bambino Gesù portava al collo e gliela strappò. Privata
di quella visione, Agnese sentì al cuore una trafitta così forte che,
levando alte grida, si abbandonò in terra quasi priva di sensi.
La crocettina esiste ancora e viene mostrata al popolo con le altre reliquie nell’anniversario della morte della santa.
Agnese ebbe da Dio il dono dei miracoli.
Quasi tutte le cose che toccava per
distribuirle alle suore, si trovavano sovente o aumentate o migliorate. Più
volte moltiplicò le cibarie e i denari occorrenti per pagare i
muratori. Un giorno venne a mancare il pane. All’ora del desinare Agnese
volle sedersi ugualmente a tavola, con le altre religiose. Dopo aver
tessuto loro l’elogio della pazienza, si raccolse in preghiera, sollevò
gli occhi e le mani al cielo come per accogliere qualcosa che le veniva
dall’alto, e le ritrasse alla presenza di tutte con un pane
freschissimo, recante ancora sotto di sé la cenere del forno. Al
diffondersi della fama di tanti prodigi,
due camaldolesi discesero d’inverno dai loro romitori per farle visita. Dopo
un lungo intrattenimento sulla vita spirituale, Agnese li fece sedere a
tavola e li invitò a cibarsi delle elemosine fatte al monastero da pii
benefattori. Mentre tra un boccone e l’altro continuavano a ragionare di
Dio,
d’improvviso apparve sopra un piatto una freschissima rosa. Alla sorpresa dei due eremiti, la santa esclamò: “
II
Signore ha voluto mandare questo fiore estivo per mostrare quanto le
vostre parole hanno riscaldato il mio spirito illanguidito, con il fuoco
della carità“.
Le ristrettezze che si imponeva erano durissime:
per quindici anni visse a pane e acqua e dormì sul pavimento usando una pietra come cuscino; per le penitenze che continuamente praticava, contrasse una
grave malattia,
da cui più non guarì. Per volere dei medici e dei superiori dovette
moderare le austerità. Ne approfittarono le suddite per prepararle
uno squisito piatto di carne. Provando un invincibile avversione a quel brusco cambiamento di cibo,
Agnese supplicò il Signore che glielo trasformasse in pesce ed egli all’istante la esaudì.
Quando divenne famosa,
la gente di Montepulciano chiese che ritornasse tra di loro. Tornò
e aprì un nuovo convento ponendolo
sotto la cura dei domenicani locali; ella si era infatti convinta, in
seguito alle esperienze nelle precedenti comunità, dei benefici che si
ottenevano dall’associazione con un ordine più grande e riconosciuto.
Ne fu la priora e la casa prosperò sotto la sua gestione. Ma a Montepulciano la salute di
Agnese peggiorò.
Per nove domeniche consecutive un angelo la condusse in visione sotto
un olivo dell’orto e le diede da bere l’amarissimo calice della Passione
di Gesù, per indicarle che sarebbe giunta alla beatitudine attraverso
molte sofferenze.
Per volere dei superiori Agnese si recò alle acque di Chianciano.
Iddio premiò con molti miracoli quell’atto di ubbidienza. Difatti,
subito dopo l’arrivo di lei, cominciò a venire giù dal cielo una
fitta pioggia di manna che ricoprì lo stabilimento termale. Nel luogo in cui la santa s’immerse, sgorgò una nuova
polla d’acqua calda che ridonò la salute ai malati che in essa si tuffarono. Durante il periodo di cura, essendo
venuto a
mancare il vino, Agnese, piena di compassione per le commensali,
tramutò con un segno di croce l’acqua, attinta
alla fontana, in vino molto prelibato. Una bambina, nell’affettare il
pane sulle proprie ginocchia, si era ferita col coltello fino
all’osso, Agnese andò ad immergerla nella polla sgorgata prodigiosamente
pochi giorni prima e la ritrasse guarita. Un
bambino, rimasto incustodito, era entrato nell’acqua e vi era
affogato. Agnese lo portò in disparte, si prostrò in preghiera davanti a lui, gli tracciò sopra il segno di croce e
lo restituì vispo come prima alla madre desolata.
Nonostante la fama di tanti prodigi, un giorno, mentre entrava nei locali delle terme,
alcuni giovinastri diedero la baia ad Agnese. Ella frenò lo sdegno di coloro che l’accompagnavano, poi, tornata alla casa ospitale, fece tirare il collo a
certi polli, portati dal monastero in considerazione della sua salute, e
li fece portare ai giovani insolenti. Costoro,
vinti dall’amabile cortesia di lei, andarono a chiederle scusa degli sberleffi, ginocchioni e con la cintola al collo. La santa li invitò cortesemente ad alzarsi e
protestò
di sentirsi loro molto obbligata perché, col mettere alla prova la sua
pazienza, le avevano dato modo di avvantaggiarsi spiritualmente. Nonostante le cure, Agnese ritornò a Montepulciano ancora più malata.
Le sue figlie spirituali si guardavano bene dal commettere qualsiasi
mancanza perché sapevano per esperienza come la loro superiora avesse
pure il
dono della scrutazione dei cuori e della profezia. Un
giorno, mentre ella pregava con loro davanti ad un’immagine della
Madonna, per la pace di Montepulciano, d’un tratto vide il volto della
Vergine contrarsi con spasimo, stillare gocce di sudore e trarre un
respiro breve e affannoso. La santa
comprese che, a causa dei peccati di molti, la città sarebbe stata sconvolta dalla guerra.
Infatti, nella prima metà del secolo XIV, i fratelli Jacopo e Nicolò
Della Pecora, si misero in testa di sottrarre Montepulciano al dominio
dei senesi, ma inutilmente, nonostante l’aiuto ora di Perugia, ora di
Firenze.
Consunta dalle fatiche, Agnese si mise a letto e si dispose alla morte. Alle religiose piangenti disse: “
Se mi amaste veramente, non piangereste così; gli amici si rallegrano del bene che capita ai loro amici. Il
più grande bene che mi possa capitare, è di andarmene allo sposo. Siate
fedeli a uno sposo così buono! Perseverate sempre nell’ubbidienza e vi
prometto di esservi più utile in cielo che se restassi tra voi”. Poco dopo sollevò gli occhi e le mani al cielo e disse sorridendo; “
II mio amato mi appartiene, io non lo abbandonerò più!”. Agnese
morì il 20-4-1317, a mezzanotte,
e apparve a molti in diverse località.
Il
suo corpo, deposto nella chiesa del monastero, che prese il nome di
Sant’Agnese, emanò una deliziosa fragranza e sanò molti malati, I
poliziani invece di affidare alla terra il suo corpo, mandarono alcune
persone fidate a Genova affinché, a qualunque prezzo, comprassero
unguenti con cui spalmare il corpo della vergine e conservarlo
incorrotto il più a lungo possibile. Appena essi partirono,
le punte
delle dita di Agnese cominciarono a stillare fitte e abbondanti gocce di
un prezioso liquore al cui contatto ciechi, zoppi e rattrappiti
riacquistarono la salute. Il suo
corpo si conservò
incorrotto. Nel 1374 Dio rivelò a
S. Caterina da Siena (29
apr.) che in cielo avrebbe goduto una gloria uguale a quella di Agnese
da Montepulciano. Le venne quindi il desiderio di andarne a venerare le
reliquie, ma
mentre si chinava per baciarle i piedi, Agnese sollevò fino al labbro di lei il piede destro e rinnovò il prodigio della manna.
Sebbene fosse famosa per i miracoli,
la sua santità era radicata in una semplicità essenziale e una devozione intensa verso il Signore e la Vergine.
La sua tomba divenne una popolare meta di pellegrinaggio e
fu visitata anche dall’imperatore Carlo IV . Fu
canonizzata nel 1726. Un quadro di Tiepolo che la ritrae si trova in
una chiesa dei gesuiti di Venezia e un altro, più antico, nella
Pinacoteca Comunale di Montepulciano: in questo è ritratta mentre
sorregge con la mano un modellino della città di cui è patrona.
Fonti: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler /
http://www.paginecattoliche.it/