Cronache di S. Maria Crocifissa Di Rosa
(Tratto dal libro: RITRATTI DI SANTI di Antonio Sicari ed. Jaca Book)
Ritorniamo a quel terribile 1836 quando si sparge la voce che il colera, terribile malattia mortale fino allora sconosciuta e che nessuno sa come curare, sta per giungere a Brescia. L’epidemia scoppia infatti violentissima e dura circa sei mesi: in sei mesi su 31.500 abitanti di Brescia, 3.200 vengono colpiti e ne muoiono 1.600, mentre moltissimi abitanti sono fuggiti dalla città. In una lettera di un noto personaggio del tempo, l’avvocato C. Manziana, si legge:
“Noi siamo inondati da questo terribile flagello che fa stragi sopra questi abitanti in ogni ceto di persone, infierisce ed ammazza in poche ore. E vi è un buon numero che sono ammalati dallo spavento. Gli abitanti sono fuggiti per una metà, alcuni alle loro campagne, altri nelle valli e per le montagne, altri per il Tirolo. Brescia pare deserta. Le botteghe più della metà sono chiuse e le case disabitate “.
I primi casi di contagio si ebbero ad aprile; a metà giugno c’era già il panico e per di più la città fu scossa da un grave terremoto. Il 22 giugno 1836, il cavaliere di Rosa riceve una lettera dall’unica figlia che abita nella sua stessa casa:
Carissimo Papà,
21 Giugno 1836
Sono a pregarvi d’una grazia. Ve la chiedo in iscritto, non per mancanza di confidenza a parlarvi, ma perché non mi si chiudano le parole fra le labbra con una vostra pronta negativa. Sì, la grazia che vorrei da voi, ve la chiedo per amore di Gesù Cristo. Deh, non me la negate.
Non apporterò alcun danno alla famiglia, perché vi ho riflesso, e prenderò tutte le misure che la prudenza suggerisce. Di queste ve ne parlerò a viva voce. Caro Papà accordatemi questa licenza, che mi rendete felice.
Vostra Affez.ma Obbli. Figlia Paolina
Il colera terrorizza: Costringe a vedere persone improvvisamente assalite da spasimi intollerabili che cadono letteralmente nel loro stesso vomito e tra i propri rifiuti, mentre il corpo è scosso da crampi e da un freddo insopportabile e la temperatura scende molto al di sotto di 37 gradi. Le descrizioni del tempo sono atroci e rivoltanti. Nei Commentari dell’Ateneo del 1837 c’è uno studio sull’argomento che descrive con abbondanza di particolari ” l’aspetto orrendo dei malati “.Ora possiamo immaginare qual era la posta in gioco che la lettera di Paola chiedeva al padre: la sua stessa vita. Dopo aver molto pregato, col cuore stesso di Abramo, costui non solo accettò, ma confesso che ” se non m’avesse trattenuto il pensiero d’esser padre di famiglia, vorrei seguirla anch’io “. Così eran fatti certi cristiani bresciani d’allora. […]
Paola deve garantire davanti alla Direzione dell’Ospedale l’alloggio per tutte le sue ” Ancelle
Lo avverte intanto che probabilmente certi conoscenti troveranno da ridire su quel fidanzamento, ma, tanto, ” le meraviglie durano al più tre giorni “. Si tratta dunque di un fidanzato che nessuno le ha cercato, neanche lei stessa, ma è stato piuttosto Lui a volerla insistentemente. Ci sono, è vero, quelle sue compagne con cui sta fondando una ” pia unione “, ma non c’è da preoccuparsi perché loro sono contente del suo fidanzamento, anzi ne avranno vantaggio perché la sua dote andrà a loro, dato che il fidanzato è così ricco che non ne ha bisogno. Conclude finalmente la lettera rivelandogli l’unica cosa che ancora manca: il nome del fidanzato. Eccolo:
Gli è Gesù di Nazareth, presso il quale desidero che mi teniate in decoro (cioè: ” che mi facciate fare bella figura “) come avete già fatto e come fareste con un altro genero nell‘affidargli la vostra affezionatissima Paolina. […]
Dice il suo confessore: ” Non ebbe giorno che fosse libera da tentazioni e non ebbe tentazioni con cui non sia stata tentata “. E tali tentazioni riguardavano ” tutto ciò che può essere atto a sconvolgere la mente e il cuore “. A 17 anni si e consacrata verginalmente a Gesù Cristo, e da allora le tentazioni più feroci contro la castità non la abbandoneranno più. Non solo quelle ambigue e rivoltanti che si fanno immaginazione e sensazione torbida, ma quelle che pervadono tutto l’essere e dal corpo risalgono fino al cuore, fino alla mente, fino all’anima. Le sembra di non credere a nulla, continuamente tentata di deridere Dio, la sua Incarnazione, i suoi Sacramenti la sua presenza nell’Eucaristia. Non riuscirà mai a fare la comunione senza dover superare un istintivo rifiuto che la sconvolge fino a farla star male e poi subito la paura d’aver sacrilegamente peccato.
” Il suo patire è così atroce che non si saprebbe come descriverlo. Sono vecchio nel ministero: ho letto vari mistici attorno ai patimenti cui Dio sottopone tal’ora un’anima, e confesso il vero che, tranne il dire come asseriscono alcuni, che l’anima soffre pene simili a quelle dell’inferno, non saprei esporlo con altre espressioni… In una parola quest’anima è sotto il martirio di mille croci, ciascuna delle quali sarebbe capace di fare impazzire”.
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