SAN PIETRO CANISIO
Nacque a Nijmegen, nell’arcidiocesi di Colonia; il padre, Giacobbe Canisio, fu per nove volte borgomastro di Nijmegen, e insignito del rango di nobile dopo aver svolto l’incarico di tutore dei figli del duca di Lorena. La madre di Pietro morì quando lui era molto giovane, ma la seconda moglie di suo padre si comportò da madre eccellente. Pietro conseguì la laurea in lettere all’università di Colonia all’età di diciannove anni (e in seguito si rimproverò di aver perso tempo quando avrebbe dovuto invece studiare). Studiò poi diritto per assecondare i desideri del padre a Lovanio per pochi mesi; ma poi si accorse che non era portato per questa carriera, rifiutò di sposarsi, pronunciò il voto del celibato e ritornò a Colonia per studiare teologia.
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In Renania suscitò molto interesse la predicazione del B. Pietro Favre, il più anziano dei primi compagni di Ignazio di Loyola. Canisio partecipò a un ritiro di Ignazio che p. Favre organizzò a Magonza, e durante la seconda settimana fece voto di entrare a far parte del nuovo ordine. Visse per alcuni anni nella congregazione di Colonia, trascorrendo il tempo pregando, studiando, insegnando e assistendo i malati; inoltre aveva già iniziato a scrivere le sue prime opere, ovvero le edizioni delle opere di S. Cirillo di Alessandria e di S. Leone Magno. Dopo essere diventato sacerdote, diventò famoso per le sue omelie; partecipò a due sessioni del Concilio di Trento, una in questa città e l’altra a Bologna, fu poi convocato a Roma da S. Ignazio, che lo tenne con sé per cinque mesi. Fu inviato a Messina come insegnate per fondare la prima scuola gesuita, fu poi richiamato per la professione solenne e per svolgere un compito importante. Fu rimandato in Germania: era stato scelto per andare nella città di Ingolstadt con due confratelli gesuiti per promuovere l’insegnamento. La Chiesa qui, come in altre città della Germania, era disorganizzata e demoralizzata dopo gli attacchi di Lutero e dei suoi seguaci.Nell’autunno del 1552 scoppiò un’epidemia di peste e Pietro lavorò incessantemente, trovando cibo e medicine, confessando, amministrando gli ultimi riti e confortando i parenti. In quello stesso autunno, fu incaricato di scrivere il Compendium, una prova difficile che lo condusse al suo risultato più grande. L’idea fu di re Ferdinando, che voleva un nuovo manuale di dottrina cattolica: “Deve essere un lavoro metodico, comprendere tutto quello che un buon cristiano dovrebbe sapere. Sua Maestà desidera che sia composto dai suoi teologi, stampato a Vienna su sua commissione e insegnato,
Il compito fu affidato a p. Lejay, ma dopo la sua morte a Pietro Canisio, che lo trovò arduo, e scrisse a p. Giovanni Polanco, segretario generale della Compagnia di Gesù, per confessargli che, dopo molti mesi, era ancora all’inizio. Ottenne migliori risultati con i giovani, con i malati, i poveri, i detenuti, ma non fu mai un grande studioso. Il problema era che il manuale avrebbe dovuto essere semplice, per essere capito dai cattolici ordinari, ma sufficientemente istruttivo, per soddisfare i teologi. Questa difficoltà fu superata quando il lavoro fu assunto da un altro membro della missionegesuita, P. Laynez, mentre Pietro scrisse un testo elementare per gli studenti.
Il suo famoso Catechismo o Summa doctrinae christianae, scritto in latino, fu completato nel 1555. Era formato da cinque capitoli su fede, speranza, carità, sacramenti e giustizia (quest’ultimo comprendeva il peccato, le opere di carità, le virtù cardinali e i doni dello Spirito santo), e includeva domande brevi e precise, oltre a risposte lucide e complete. Re Ferdinando scrisse una prefazione specificando che “questo catechismo e nessun altro doveva essere proposto, spiegato e insegnato […] pubblicamente o privatamente”.
Il Catechismo fu immediatamente considerato come un documento importante nella battaglia contro il luteranesimo. Nel 1558, Pietro scrisse il Piccolo Catechismo, un testo più semplice per i bambini e per i lettori comuni, che fu tradotto in tedesco. Esiste un’edizione illustrata, completa di xilografie e orazioni. In seguito pubblicò il Catechismus minimus ancora più facile, anche se conservava tutti gli elementi della religione. Tutti e tre furono pubblicati molte volte e in molte lingue. Ormai molto vecchio, Pietro scrisse un’edizione del Catechismus minimus per quelli che avevano appena imparato a leggere, con le parole divise in sillabe. Il suo scopo non era quello di scrivere opere erudite, ma semplicemente di far giungere al popolo il suo messaggio. Il suo lavoro lo portò senza volere alla fama.
Re Ferdinando, il nunzio, e persino il papa lo vollero nominare vescovo di Vienna, ma Ignazio gli permise di amministrare la diocesi solo per un anno, senza ordini episcopali, titoli o remunerazioni. A Praga, dove fu inviato a fondare un collegio, fu sgomento nell’apprendere che si trovava in una provincia nuova della Germania meridionale. Durante il suo soggiorno in questa città, durato due anni, istituì un collegio su basi pedagogiche dove protestanti e cattolici furono felici di mandare i loro figli.
Nel 1580, Pietro fu inviato a Friburgo, in Svizzera, capitale di un cantone cattolico, schiacciata tra due forti paesi protestanti. Questa città desiderava da molto tempo un collegio cattolico, ma era stata svantaggiata dalla mancanza di fondi e da altri problemi. Pietro superò questi ostacoli in pochi anni: raccolse il denaro necessario, scelse il luogo e supervisionò la costruzione del collegio, che più tardi si trasforma nell’università di Friburgo. Per oltre otto anni, il suo lavoro principale fu il ministero della predicazione: la domenica e i giorni di festa recitava omelie nella cattedrale, mentre durante la settimana visitava le altre zone del cantone. Giocò un ruolo importante nel mantenere il cristianesimo a Friburgo, in un periodo critico della sua storia.
Nel 1591, fu colpito da un infarto, ma si riprese a sufficienza per continuare a scrivere fino alla sua morte. Come p. Brodrick commenta, Pietro considerava “i libri come un baluardo di fede”. Rimase semplice, umile e un gran lavoratore come sempre, entusiasta di prendere parte alla vita domestica della congregazione: lavava i piatti con le mani tremanti e spazzava i corridoi polverosi, sebbene non riuscisse a camminare bene senza il bastone. S. Ignazio predicava di saper sfruttare la malattia, e il lungo, lento declino finale di Pietro fu un modello dell’insegnamento d’Ignazio, praticato con pazienza e carità. Morì molto serenamente alla presenza dei suoi confratelli, è stato canonizzato e nominato dottore della Chiesa nel 1925 da papa Pio XI.
Fonti: Il primo grande dizionario dei santi di ALban Butler
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