Francesco Saverio nacque in Navarra, Spagna, nel castello di Xavier vicino a Pamplona, nel 1506, figlio minore di una numerosa famiglia; la sua lingua madre era il basco. A diciassette anni si recò all’università di Parigi, presso cui si laureò nel 1528; durante il soggiorno in questa città, incontrò un altro spagnolo di origine nobile, Ignazio di Loyola (31 lug,), e sebbene inizialmente non accettasse di buon grado la sua autorità, fece parte del gruppo dei primi sette gesuiti che si votarono al servizio di Dio a Montmartre, nel 1534. Sarebbero diventati soldati dello spirito, pronti a dedicarsi a qualsiasi incarico fosse loro affidato, e inizialmente decisero che la loro prima missione sarebbe stata la Palestina. Il gruppo fu consacrato al sacerdozio a Venezia nel 1534, ma dovette affrontare qualche difficoltà nell’assicurarsi il riconoscimento ufficiale. Nel 1540, Ignazio incaricò Francesco Saverio di unirsi a p. Simone Rodriguez in una missione in Estremo Oriente.Deciso a diventare un soldato dello spirito, rimase su di una nave ammiraglia per ben 3 mesi circumnavigando l’Africa fino alle indie e successivamente si spinse ben oltre. Le sue armi erano l’umanità e la dolcezza che attirava tanti fanciulli, per i quali aveva una predilezione, mentre lo scudo era il crocifisso, davanti al quale sembra aver fatto indietreggiare persino dei popoli invasori.
VIDEO-STORIA
IL CARTONE ANIMATO DI FRANCESCO PER I PIÙ PICCOLI
Ebbe due compagni in questo viaggio verso le Indie, p. Paolo di Camerino, italiano, e Francesco Mansilhas, portoghese, non ancora membro dell’ordine. Francesco prese posto sulla nave ammiraglia di una flotta che trasportava il nuovo governatore delle Indie verso il suo nuovo incarico, ma i suoi compagni furono imbarcati su un’altra nave. Il viaggio fu molto lungo; veleggiarono verso sud lungo la costa dell’Africa occidentale, doppiarono il Capo di Buona Speranza, e raggiunsero il Mozambico, dove svernarono per due mesi, poi risalirono la costa africana fino a Malindi, e attraversarono l’Oceano Indiano passando per Socotra. La nave ammiraglia trasportava equipaggio, passeggeri, schiavi e condannati, tutte persone che Francesco sentì di dover assistere. Nonostante soffrisse molto di mal di mare, impartì lezioni di catechismo, predicò ogni domenica davanti all’albero maestro, si prese cura degli ammalati, e trasformò la sua cabina in un’infermeria. A bordo scoppiò un’epidemia di scorbuto, e le condizioni di ristrettezza sulla nave portarono altre malattie e risse violente.Raggiunsero Goa il 6 maggio 1542, dopo un viaggio durato tredici mesi. I portoghesi si erano stabiliti a Goa sin dal 1510, e la popolazione cristiana era molto numerosa: esistevano chiese, con ecclesiastici regolari e secolari, e un vescovo, ma i sacramenti erano trascurati, vi erano pochissimi predicatori, e nessun ecclesiastico si azzardava al di fuori delle mura cittadine, oltre al fatto che si praticavano i peggiori abusi coloniali. Si diceva che quando gli schiavi venivano frustati, i loro padroni contavano i colpi con il rosario. II comportamento degradato e avaro di molti europei, cattolici di nome, il cui comportamento era completamente all’opposto del Vangelo che professavano, ebbe come unico risultato quello di alienare le simpatie del popolo locale.
Francesco intraprese una missione presso gli indiani: la mattina lavorava nelle sudicie prigioni e negli ospedali affollati di malati, poi camminava per le strade suonando una campana per richiamare i bambini e gli schiavi al catechismo. Questi ultimi si raccoglievano intorno a lui numerosi, ed egli insegnava loro il Credo e i principi di base della condotta cristiana. Celebrava la Messa presso i malati di lebbra ogni domenica, e predicava all’aperto. Per l’istruzione delle persone semplici, arrangiò alcuni argomenti religiosi in versi adattandoli a temi musicali popolari, e ottenne risultati così soddisfacenti che presto i suoi canti risuonarono per tutta Goa, nelle strade e nelle case, nei campi e nelle officine.
Un problema particolare fu quello del concubinaggio: vi erano pochissime donne portoghesi cattoliche a Goa, e i portoghesi di ogni rango prendevano con sé concubine indiane, spesso senza badare alla loro salute o a quella dei loro figli. Francesco non riuscì a evitare l’usanza del concubinaggio nonostante gli appelli alla moralità cristiana, ma insegnò ai portoghesi ad assumersi la responsabilità delle donne e dei figli che dipendevano da loro.
I parava avevano bisogno di lui: una tribù proveniente da settentrione li stava
Scrisse le massime lodi per don Michele Vaz, vicario generale di Goa, e chiese al re di rimandarlo nelle Indie con poteri plenari, dopo aver steso il suo rapporto a Lisbona. «Poiché prevedo di morire in questo paese e di non rivedere più Vostra altezza in questa vita. Vi prego, mio signore, di aiutarmi con le Vostre preghiere, così da poterci incontrare di nuovo nell’altro mondo, dove certamente potremo riposare più a lungo che in questo». Francesco partì nella primavera del 1545 per il lungo e pericoloso viaggio attraverso l’Oceano Indiano fino a Malacca, a quel tempo città grande e prosperosa, strappata dal duca di Albuquerque per conto dei portoghesi ai malesi nel 1511, dove trascorse quattro mesi.
A Malacca imperversavano il disordine e il vizio caratteristici di una città di frontiera, e Francesco riuscì a istituire delle riforme e a catechizzare, molta gente. I suoi spostamenti nei successivi diciotto mesi sono difficili da stabilire; visitò isole che chiamava genericamente Molucche, non tutte attualmente identificabili. Le Molucche sono le Isole delle Spezie dell’attuale Indonesia, e Francesco visitò certamente Amboina e altri luoghi in cui vivevano mercanti e colonizzatori portoghesi. In questa missione patì molte sofferenze, ma scrisse a S. Ignazio:
Nell’aprile 1549 Francesco partì, accompagnato da un sacerdote gesuita, un fratello laico, e tre convertiti giapponesi, tra cui vi era anche Yajiro, ora battezzato con il nome di Paolo. Il giorno della festa dell’Assunzione sbarcarono a Kagoshima nel Kyushu. Francesco si apprestò subito a imparare il giapponese, ma nonostante la sua presunta inclinazione per le lingue, sembra che abbia trovato molto difficile impararne di nuove. L’ipotesi che sia stato capace di conversare e discutere in giapponese è infondata, tuttavia tradusse un resoconto semplice dell’insegnamento cristiano, che fu recitato a tutti quelli disposti ad ascoltarlo. Dopo dodici mesi la missione aveva cento nuovi convertiti. Dopo averla affidata a Paolo, Francesco decise di spingersi oltre con gli altri suoi compagni e s’imbarcò per Hirado, a nord di Nagasaki, dove fu ben accolto dal governante e ottenne nuove conversioni.
A Yamaguchi, nello Honshu, i missionari furono trattati con disprezzo, perciò continuarono il viaggio per Miyako (Kyoto). Era quasi la fine di dicembre, e infatti soffrirono molto lungo il viaggio per le forti piogge, la neve e il suolo accidentato. Raggiunsero Miyako solo a febbraio, e scoprirono che per essere ricevuti dal monarca locale avrebbero dovuto pagare una somma di denaro impossibile. Accorgendosi che il concetto della povertà santa on attraeva il popolo in Giappone, come era accaduto invece in India, Francesco studiò diverse tattiche. Ben vestito, e con i suoi travestiti da servitori, si presentò personalmente davanti al governante come rappresentante del re del Portogallo, consegnandogli le lettere e i doni che le autorità indiane avevano raccolto per l’imperatore giapponese, tra cui una scatola musicale, un paio di occhiali, e un orologio. Il monarca ricevette i doni con gioia, diede a Francesco il permesso di insegnare, e gli fornì come residenza un monastero buddista abbandonato. Con la sua protezione, Francesco predicò apertamente e battezzò circa duemila persone, credendo che «tra tutti gli atei, non vi era popolo migliore dei giapponesi».
«Se vi è qualcuno in tutta questa impresa che merita una ricompensa dalla divina provvidenza, siete voi indubbiamente; e ne avrete tutto il merito».
La lettera proseguiva con la descrizione delle cose a cui aveva provveduto: aveva con fatica convinto un mercante cinese a farlo sbarcare sulla costa vicino a Canton in cambio di soldi, e aveva giurato che niente gli avrebbe fatto confessare il suo nome. Gli ultimi giorni di Francesco Saverio sono confusi: mentre aspettava che il suo progetto
Fu trasportato a bordo di una nave portoghese che si trovava in zona, ma non riuscì a sopportare il moto della nave e fu sbarcato di nuovo, in preda alla febbre alta. Fu abbandonato sulla spiaggia, esposto a un gelido vento del nord. Un mercante portoghese amico lo portò in una capanna e lo sottopose a salassi, mentre Francesco pregava incessantemente tra gli spasmi del delirio, tuttavia il malato diventò sempre più debole, e fu assistito soltanto dal fedele Antonio.
La mattina del 3 dicembre 1552 fu chiaro che sarebbe morto; Antonio gli pose tra le mani una candela accesa, poi, Francesco, «con il nome del Signore sulle labbra, rese la sua anima al Creatore e Signore con grande calma e serenità”. Alle sue esequie parteciparono solo quattro persone: il cinese chiamato Antonio, un portoghese, e due schiavi. Antonio successivamente descrisse i dettagli della morte di Francesco a Manuel
Texeira, primo biografo di questo santo. Francesco aveva solo quarantasei anni; negli undici anni trascorsi in Oriente aveva introdotto il cristianesimo in India meridionale, Ceylon, Malacca e Giappone (e nonostante le sue conversioni in Giappone portassero i semi del martirio, la sua memoria fu conservata e la sua attività diede frutti in molte parti dell’Asia orientale e meridionale). Esistono molti esempi della sua umiltà e della capacità di sopportare la sofferenza spirituale e fisica; trascorse la vita diffondendo il Vangelo, e mitigando gli effetti di una forma di colonialismo particolarmente dura. Riusciva a rimproverare re e nobili quando necessario, mostrando una grande tenerezza verso i poveri e gli oppressi di ogni razza. Le sue reliquie furono portate a Malacca e poi a Goa, dove si trovano ancora custodite nella chiesa del Buon Gesù e portate in processione una volta ogni dieci anni in un’urna di cristallo. Francesco fu canonizzato nel 1622, insieme a S. Ignazio di Loyola, Teresa d’Avila (15 ott.) e Filippo Neri (26 mag.); papa Pio X lo nominò patrono delle missioni straniere e di tutti i fautori dell’espansione del cristianesimo.
NOVENA A SAN FRANCESCO SAVERIO
(dal 4 al 12 marzo)
FONTE: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler
0 commenti:
Posta un commento