lunedì 25 marzo 2013

Gesù non è vittima della forza del destino; è salito sulla croce perché l’ha voluto…

La sua accettazione non è rassegnazione

passiva, ma è accoglimento della croce, è accettazione della volontà del Padre. E’ una visione bellissima, che ci schioda dalla situazione di condannati a vitaSe è vero che la croce è l’unità di misura di ogni impegno cristiano,dobbiamo fare attenzione al pericolo che stiamo correndo: quello che san Paolo chiama “l’evacuazione della croce” la croce rimane sempre al centro delle nostre prospettive, ma noi vi giriamo al largo, come quando,si sfiora una città passando dalla tangenziale. L’automobile corre sulla strada, si da un’occhiata ai campanili, ma tutto finisce lì
Santa Maria, donna dell’ultima ora, quando giungerà per noi la grande sera e il sole si spegnerà nei barlumi del crepuscolo, mettiti accanto a noi perché possiamo affrontare la notte. E’ una esperienza che hai gia fatto con Gesù, quando alla sua morte il sole si eclissò e si fece gran buio su tutta la terra. Questa esperienza, ripetila con noi. Piantati sotto la nostra croce e sorvegliaci nell’ora delle tenebre
Se è vero che ogni cristiano deve accogliere la sua croce, ma deve anche schiodare tutti coloro che vi sono appesi,noi oggi siamo chiamati a un compito dalla portata storica senza precedenti: “Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi” (Is 58,6). Pertanto, non solo dobbiamo lasciare il “belvedere” delle nostre contemplazioni panoramiche e correre in aiuto del fratello che geme sotto la sua croce personale,ma dobbiamo anche individuare, con coraggio e intelligenza, le botteghe dove si fabbricano le croci collettive.
L’accoglienza porta diritto al cuore del crocifisso. Dobbiamo accogliere il fratello come un dono,non come un rivale o un possibile concorrente. Accogliere il fratello con tutti i suoi bagagli, perché non ci vuole molto ad accettare il prossimo senza nome,contorni, o fisionomia. Ma occorre una gran fatica per accettare chi abita di fronte a casa mia .
 La riconciliazione verso i nostri nemici: noi dobbiamo assolutamente dare un aiuto al fratello che abbiamo ostracizzato dai nostri affetti, stringere la mano alla gente con cui abbiamo rotto il dialogo, porgere aiuto al prossimo col quale abbiamo categoricamente deciso di archiviare ogni tipo di rapporto. E’ su questa scarpata che siamo chiamati a vincere la pendenza del nostro egoismo e a misurare la nostra fedeltà al mistero della croce.
Gesù non è vittima della forza del destino; è salito sulla croce perché l’ha voluto.

La sua accettazione non è rassegnazione passiva, ma è accoglimento della croce, è accettazione della volontà del Padre. E’ una visione bellissima, che ci schioda dalla situazione di condannati a vita
Purtroppo la nostra vita cristiana non incrocia il Calvario. Non s’inerpica sui tornanti del Golgota. Come i Corinzi anche noi, la croce, l’abbiamo “inquadrata” nella cornice della sapienza umana, e nel telaio della sublimità di parola. L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo inchini in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica
 Al Golgota si va in corteo, pregando, lottando, soffrendo con gli altri. Non con arrampicate solitarie, ma solidarizzando con gli altri che, proprio per avanzare insieme, si danno delle norme,dei progetti, delle regole precise, a cui bisogna sottostare da parte di tutti. Se no, si rompe il tessuto di una comunione che,una volta lacerata,richiederà tempi lunghi per pazienti ricuciture
La croce, l’abbiamo isolata: è un albero nobile che cresce su zolle recintate, nel centro storico delle nostre memorie religiose, all’interno della zona archeologica dei nostri sentimenti. Ma troppo lontano dalle strade a scorrimento veloce che battiamo ogni giorno. Abbiamo bisogno di riconciliarci con la croce e di ritrovare, sulla carta stradale della nostra esistenza paganeggiante, lo svincolo giusto che porta ai piedi del condannato!
Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce,non solo quella di Gesù. Coraggio, allora: la tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”. Il Calvario, dove essa è piantata,non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consumala tua sofferenza,non si vedrà mai come suolo edificatorio
 
C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato alla morte di Cristo: “Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo
Un giorno, quando avrete finito di percorrere la mulattiera del Calvario e avrete sperimentato come Cristo l’agonia del patibolo, si squarceranno da cima a fondo i veli che avvolgono il tempio della storia e finalmente saprete che la vostra vita non è stata inutile. Che il vostro dolore ha alimentato l’economia sommersa della grazia. Che il vostro martirio non è stato un assurdo, ma a ingrossato il fiume della redenzione raggiungendo i più remoti angoli della terra.
Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. Ecco già una mano forata che schioda dal legno la tua. Ecco un volto amico, intriso di sangue e coronato di spine, che sfiora con un bacio la tua fronte. Ecco un grembo di donna che ti avvolge di tenerezza. Coraggio! Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.
Riconciliamoci con la gioia. La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi e perfino la morte, dal versante giusto: quello del “terzo giorno ” Da lì le sofferenze del mondo non saranno più i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo
DON TONINO BELLO

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