Per essere compresa e apprezzata adeguatamente, l’attività di Francesco deve essere valutata nel contesto del suo tempo. Il periodo a cavallo tra il XII e il XIII secolo rappresentò un momento di grave crisi per la Chiesa: osservatori attenti sottolinearono con preoccupazione il declino in tutta Europa della vita di fede; lo sviluppo delle città poneva problemi nuovi a una Chiesa che custodiva un’attività pastorale ancora commisurata a una realtà essenzialmente rurale; tra i gruppi che lottavano con sincerità per una riforma della Chiesa si stava diffondendo l’eresia e inoltre cominciavano ad apparire i primi segni di una pratica religiosa alternativa, sottratta al controllo delle autorità ecclesiastiche.
In qualche misura, la predicazione di Francesco e gli ideali da lui diffusi ottennero un rapido consenso proprio perché risposero alla evidente necessità di una riforma e all’esigenza, già diffusamente avvertita, di un ritorno a una fede più semplice e pura. I nuovi frati, invece, si pongono come una forza dinamica direttamente coinvolta nelle necessità di quel mondo.
L’aspetto più preoccupante per Francesco sono le interpretazioni concilianti del suo insistente richiamo all’assoluta povertà, al punto che deve rimproverare duramente i frati di Bologna, perché vivono in una graziosa casa in pietra e progettano di aprire una scuola legata all’università.
In una delle sue Ammonizioni ai frati scrisse:
«Ogni giorno Gesù si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote. Egli si mostra a noi nel pane consacrato così come una volta si mostrò agli apostoli nella vera carne».
È a motivo dell’eucarestia che Francesco tenne in così grande onore il sacerdozio. Ci si sarebbe potuti aspettare che, come riformatore, Francesco si dimostrasse critico nei confronti di coloro la cui vita sacerdotale offriva occasione di scandalo o non raggiungeva un adeguato grado di dedizione alla propria missione. Ma i numerosi aneddoti riportati mostrano che la sua venerazione per il ministero superava sempre ogni possibile condanna dell’individuo. Trovatosi un giorno davanti a un prete che viveva con una concubina ed essendogli stato chiesto con malizia che cosa si doveva fare con un tale peccatore, rispose:
«Che tu sia un peccatore non lo so, ciò che so è che le tue mani possono toccare il Verbo di Dio»; quindi, inginocchiatosi, baciò le mani del sacerdote. Tommaso da Celano scrive che Francesco era solito dire: «Se mi capitasse di incontrare un santo che viene dal cielo e un povero prete, saluterei prima il prete e gli bacerei le mani. Direi, infatti, “Caro S. Lorenzo, aspetta, perché le mani di costui possono toccare il Verbo di vita e possiedono un potere sovrumano”».
L’altra strada che, secondo Francesco, conduce direttamente a Cristo è costituita dalla Sacra Scrittura, in quanto essa ne riporta le parole, i comandi e ci parla della sua vita. L’amore che nutre per essa e la capacità di citarne ampi passi mostrano quanto profondamente egli debba averla meditata e pregata. Nelle sei lettere di sua mano giunte fino a noi trovano posto numerose citazione dall’Antico e dal Nuovo Testamento; la sua venerazione si spinge ancora oltre: egli nutriva una stupefacente venerazione per la Bibbia, arrivando a esortare i frati perché
«dovunque trovino le parole divine scritte, come possono, le venerino [...] e si prendano amorevolmente cura di loro, onorando nelle sue parole il Signore che le ha pronunciate». Esistevano a quel tempo altri gruppi e movimenti che cercavano di vivere in conformità col il Vangelo, ma al di fuori o in maniera autonoma rispetto alla Chiesa. Non era il caso di Francesco, il quale vedeva in essa un prolungamento dell’incarnazione di Cristo, un’altra manifestazione del Salvatore, morto per noi: non era concepibile alcun contrasto tra il Cristo raggiungibile attraverso la Scrittura e il Cristo raggiungibile attraverso la Chiesa. La spiritualità di Francesco era sacramentale, biblica ed ecclesiale.
Francesco si votò totalmente alla povertà e all’umiltà: le altre quattro virtù che raccomandò ai frati sono la sapienza (che chiamava la «regina delle virtù»), la semplicità, la carità («la santa signora»), e l’obbedienza. L’amore che i frati dovevano nutrire verso Dio, verso le persone e tra loro stessi, doveva superare quello di una madre per il suo bambino. L’obbedienza deve essere cieca, «come quella di un cadavere », che è privo di una volontà propria, ed esercitata nei confronti di ogni superiore e della regola; essa infatti serve a «umiliare tutte le volontà corporali e carnali, e a mortificare i propri istinti, per sottomettersi allo Spirito e ai nostri simili». Attraverso l’obbedienza i frati si rendevano disponibili a cercare di compiere solo la volontà di Dio.
Si potrebbe aggiungere un’ultima virtù, la gioia. Da un certo punto di vista, ciò è abbastanza chiaro: « Fa’ sempre del tuo meglio » ammoniva « per essere lieto, mentre sei con me e con gli altri fratelli; non si addice a un servo di Dio mostrare un volto triste o cupo ai propri fratelli o a chiunque altro». Ma d’altro canto questa gioia era ben diversa dall’allegria e dalla felicità esteriore: era infatti più probabile sorprendere Francesco a piangere piuttosto che a ridere, anche se questo non ne intaccava assolutamente l’intima gioia, quella che vince la stanchezza e la malattia, che supera l’ironia e l’ostilità degli altri e il tradimento degli amici.
0 commenti:
Posta un commento