Teresa de Ahumada y Cepeda nacque ad Avila nel 1515. Il padre, don Alonso Sanchez de Cepeda, risposatosi dopo la morte della prima moglie con dona Beatrice de Ahumada, ebbe nove figli, la terza dei quali era Teresa. La famiglia era ricca e don Alonso godeva di un’alta stima ad Avila, benché – essendo stato suo padre un ebreo convertito di Toledo – non potesse vantare la purezza razziale necessaria per essere pienamente accettato nella società spagnola del XVI secolo (e per sfuggire ai sospetti dell’Inquisizione, incapace di credere che i convertiti fossero autentici cristiani). I conversi, in Spagna, erano esclusi da molte cariche statali e dalla maggior parte degli ordini religiosi; se Teresa fu estremamente aperta su molti aspetti della propria vita, mantenne invece il silenzio sui propri antenati e la sua storia famigliare potrebbe anche aver influito sulla successiva convinzione dell’insignificanza dei titoli familiari e della necessità di trattare tutti alla pari. La sua infanzia fu felice, normale e pia, e non è molto significativo il precoce interesse che dimostrò per le Vite dei martiri, lette avidamente, perché costituivano di fatto i romanzi d’avventura del tempo.Anche se visse in un’età di riformatori e fondatori, a partire già dai suoi contemporanei fu la prima donna di tutti i tempi, a cui fu conferito il titolo di dottore della Chiesa. La santa aveva trovato modi nuovi per descrivere il progredire del cristiano nella vita spirituale, utilizzando similitudini intense e un linguaggio semplice.
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La santa e il fratello maggiore, Rodrigo, impressionati dall’idea del paradiso che dura «per sempre, per sempre, per sempre», come amavano ripetere, convennero che subire il martirio per mano dei Mori sarebbe stata la strada più breve per raggiungerlo e scapparono di casa; riportati però indietro da uno zio e quindi fallito il tentativo di diventare martiri, decisero che fosse più alla loro portata il grado immediatamente inferiore di santità, l’essere eremiti, e si costruirono delle celle in giardino. Questi atteggiamenti infantili non hanno importanza in se stessi, ma ci mostrano i primi segni della capacità che Teresa ebbe poi per tutta la vita di agire con profonda convinzione e di persuadere gli altri a seguirla: si noti che a quel tempo Rodrigo aveva undici anni e la santa solo sette.
da scuola secondaria per
ragazze benestanti. Nella società del tempo c’erano solo due strade da
scegliere, il matrimonio o la vita consacrata, e se Teresa si sentiva
attratta ma anche spaventata da quest’ultima, non pare invece che abbia
mai preso in considerazione l’idea del matrimonio, sempre visto in modo negativo. Dopo una grave malattia e un lungo travaglio spirituale, Teresa decise finalmente di entrare nel convento carmelitano dell’Incarnazione, ma, avendole il padre rifiutato il permesso, per intraprendere la vita religiosa dovette scappare di casa (novembre 1535).Don Alonso ritirò il divieto e Teresa sentì di aver intrapreso un cammino che le avrebbe consentito di salvare almeno la propria anima; ella non pretendeva di avere una particolare vocazione per la vita carmelitana: la scelta di quel convento era dipesa soprattutto dalla presenza in esso di un’intima amica e non c’era nient’altro che lo distinguesse dai molti altri che la santa avrebbe potuto scegliere. Le monache avevano uno stile di vita piuttosto rilassato: erano liberamente ammessi visitatori di ogni tipo, mentre le suore stesse potevano trascorrere fuori dal convento tutto il tempo che volevano. Anche se questo non era molto ricco ed era costruito in una decorosa povertà piuttosto che nel lusso, lo stato sociale che ciascuna aveva nel mondo non si perdeva all’entrata nel convento e la numerosa comunità, che contava circa centottanta monache, era divisa in gruppi e fazioni; quelle che se lo potevano permettere avevano il permesso di tenere con sé la propria servitù. Nello stesso tempo, le suore si recavano in chiesa molte volte ai giorno per recitare l’Ufficio divino, si confessavano almeno ogni quindici giorni, osservavano la disciplina e digiunavano regolarmente. Benché quindi un visitatore vi potesse trovare poco dell’ideale originario, che prevedeva una vita consacrata alla
contemplazione, non vi erano neppure scandali. Teresa viveva in una relativa comodità, con la propria cappella, la cucina e la stanza degli ospiti (dove ospitò per un certo periodo la sorella minore Giovanna).
preghiera mentale e di ricevere la comunione ogni quindici giorni, ma per Teresa la preghiera rimaneva ancora qualcosa di estremamente difficile: “Mi sentivo così depressa che dovevo raccogliere tutto il mio coraggio per costringermi a pregare”. La santa perseverò nei tentativi di pregare nonostante
gli apparenti insuccessi: imparò da uno dei propri confessori (la
maggior parte dei quali non la capivano) a esaminare la propria
coscienza non secondo i peccati commessi ma sulla base del bene che ella
aveva impedito opponendosi alle grazie che Dio le elargiva. Fu una conversione lenta, durante la quale come lei stessa disse, “da un lato c’era Dio che mi chiamava, dall’altro c’ero io che seguivo il mondo”. Il senso del proprio peccato e della propria indegnità, espresso dalla santa con toni che a noi possono apparire esagerati, aumentò via via che cresceva la consapevolezza della presenza di Dio. Cominciò a sperimentare visioni e voci intorno, godendo in certe occasioni delle più alte grazie mistiche. Fu dunque una vera nuova conversione tutto consistette nel confidare solo in Dio e rompere con i legami umani a cui sapeva di essersi troppo attaccata.Quando Teresa espresse il desiderio di fondare un convento che avrebbe seguito rigorosamente la regola carmelitana, si sollevò un opposizione fortissima. Molte suore vedevano minacciato il proprio stile di vita e alcune, senza dubbio, si interrogavano sulla sincerità di Teresa, dei suoi rapimenti ed esperienze
mistiche. L’inquisizione stava particolarmente all’erta in questo campo affermando che era la preghiera doveva essere corale e non mentale.Era molto esigente con gli amici, lamentandosi se pensava che la stessero trascurando, e li rimproverava, incoraggiava e stuzzicava a seconda di quello che il momento esigeva. I viaggi la resero.
La comunione con Dio divenne così intensa che giunse a sperimentare nel 1572 lo stato di unione mistica, o matrimonio spirituale, con Lui; nel tentativo di spiegare tale fenomeno faceva uso di numerose similitudini: «E
come se un sottile ruscello entrasse nel mare, da cui non riuscirà più a
trovare la via per separarsene, o come se in una stanza ci fossero due
ampie finestre da cui entra la luce: essa penetra attraverso punti
diversi, ma poi diventa una realtà sola». Inquesto stato tutto ciò che l’anima desidera è che si compia la volontà di Dio ed è presente una costante consapevolezza della sua vicinanza. La vita che conduceva la santa in questi anni mostrava la possibilità di conciliare la più profonda contemplazione con una grande attività e l’attenzione a questioni secolari, ma, come lei stessa scrisse a suo fratello nel 1577, potevano insorgete dei problemi:
«Per più di una settimana mi sono trovata in una tale condizione, che se fosse perdurata, difficilmente avrei potuto occuparmi di tutti i miei impegni [...] Avevo sperimentato nuovamente dei rapimenti estatici, che mi procurarono molte angustie. Parecchie volte mi sono accaduti in pubblico, per esempio durante il mattutino. E’ del tutto inutile cercare di opporsi o tentare di nascondere ciò che sta succedendo. Mi vergognavo talmente che mi sarei voluta nascondere da qualche parte. Prego vivamente Dio che non permetta più che mi accadano in pubblico [...] Ultimamente andavo in giro come se fossi ubriaca».
Crescevano intanto le prove esterne. Il suo programma di riforma era quasi del tutto ultimato dopo il 1576, quando subì un grave tentativo di sabotaggio da parte dei carmelitani calzati, o frati non riformati, che volevano bloccarlo.
essere priva di un’adeguata istruzione, fu molto attiva e operosa. La
sua fonte principale era l’esperienza di vita, ma il suo pensiero era
ben radicato nella Scrittura e in particolare nei Vangeli. Scrisse la maggior parte delle sue opere per obbedienza ai superiori o ai confessori,
avendo pochissima fiducia nelle proprie capacità. Quando, per esempio,
le chiesero di scrivere qualcosa sulla preghiera, rispose: «Per
amore di Dio, lasciatemi lavorare al filatoio, andare nel coro e
compiere i doveri della vita religiosa, come le altre suore. Non sono
destinata a scrivere: non ho né la salute né l’intelligenza per farlo». Ma per fortuna qualcosa scrisse e il risultato è uno dei più grandi classici spirituali: Il castello interioreNel 1970 papa Paolo VI la dichiarò dottore della Chiesa in considerazione dello straordinario contributo offerto alla teologia mistica e alla spiritualità cristiana.
È INVOCATA; - come protettrice degli scrittori cattolici spagnoli e dei merlettai – per la liberazione delle anime dal purgatorio e per le malattie del cuore
Fonte: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler

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