sabato 6 dicembre 2014

ALTRI MIRACOLI DI SAN NICOLA



RECITAZIONE DI SAN NICOLA
Un racconto di Marco Maria Pernich per la festa di San Nicola
IL RACCONTO DEGLI ANGELI

Qui comincia la narrazione della vita e dei miracoli di San Nicola, il confessore vescovo di Dio e consolatore degli uomini, narrata dagli Angeli a maggiore di Dio gloria e ad edificazione degli uomini moderni.
Nacque a Patara S. Nicola il confessore, in casa ricca di mezzi e beni materiali, figlio unico e molto amato dal padre e dalla madre.
Spesso al padre cittadini chiesero di assumere cariche importanti alla guida della città, offrendo onori e gloria, ma sempre il padre rifiutò, scegliendo per sé una vita oscura e casta.
Quale gloria ci sarà mai nel mondo diceva che oggi è e domani tramonta come un breve giorno d'inverno? E quale prezzo bisognerà pagare per questa gloria che fugge come acqua di un ruscello? Altro voglio per la mia vita: la luce che viene da oltre il tempo è la sola gloria che desidero per me e per la mia famiglia.
E allo stesso modo la madre di Nicola, tanto spesso invitata nelle case eleganti di Patara, città ricca e grande ornata di marmi ed ori, allo stesso modo la madre rifiutava sempre e diceva: quale piacere sarà nelle parole e nelle vesti e nei cibi o nelle musiche che oggi diciamo di amare e domani non amiamo già più? Altro voglio per la mia vita: l'eterna beatitudine dei giusti è il solo piacere che desidero per me e per quelli che amo.
In questa famiglia con questo padre e questa madre nacque Nicola.


IL MIRACOLO DELLE TRE RAGAZZE

Non era ancora vescovo né guida della comunità Nicola quando, poco distante dalla sua casa, un famoso cittadino uomo di nobili natali, erede di una famiglia importante, colto e già più volte magistrato cadde nella più oscura miseria per una di quelle giravolte incomprensibili delle vicende umane che mutano destini quando meno te lo aspetti e là dove c'erano ricchezze e tranquillità lasciano solo rovine e notti insonni e angoscia.
Allora l'uomo s'aggira per le stanze vuote della casa e arriva alle stanze delle figlie e le vede dormire col sonno incosciente della giovinezza.
Ma la luce della luna rischiara una pelle d'oro e un corpo bello come quello d'una principessa orientale e un volto di luna del Mediterraneo.
In un lampo l'uomo capisce come vendicarsi della sorte: farà della sua casa una casa d'appuntamenti e gli uomini pagheranno per accoppiarsi alle sue figlie e torneranno a scorrere i denari nella casa e i vestiti nuovi ed i banchetti.
La voce si spande rapida per il quartiere elegante di Patara e tutti ne parlano. Anche Nicola sa delle tre ragazze e anche lui le conosce. Non dice nulla. Non giudica, Non biasima il padre. Né compatisce le ragazze. Ringrazia Dio per un qualche suo misterioso motivo e la notte stessa va per le vie del quartiere elegante di Patara. Arriva alla casa dell'uomo, si ferma sotto la finestra della ragazza più grande e getta un involto che cade con un tonfo sordo sul pavimento.
Si sveglia la ragazza e chiama il padre. L'uomo svolge l'involto e conta i denari d'oro.
L'incredulità di fronte al mistero confonde l'uomo che organizza le nozze della figlia come aveva sognato al tempo della fortuna,
Ma non basta: così di nuovo l'ombra della disgrazia s'allunga su di lui e di nuovo lui si dà ad organizzare la vendita delle ore con la sua seconda figlia.
Ma di nuovo Nicola sfida la notte e le guardie e getta un altro involto dentro la casa dell'uomo.
L'uomo sposa la seconda figlia.
Ma è ben deciso a scoprire da dove viene quel denaro.
E quando la terza notte Nicola scivola, ombra tra le ombre, e getta dentro la casa dell'uomo il denaro per sposare anche la terza e più giovane figlia l'uomo si precipita fuori, insegue Nicola, lo raggiunge, lo prende gli strappa il cappuccio e lo fissa negli occhi.
Poi si getta ai suoi piedi e scoppia in lacrime e lo ringrazia e gli chiede perché abbia fatto tutto questo per lui.
Nicola rialza l'uomo e lo calma e, un po' brusco gli dice che non riveli a nessuno quanto Nicola ha fatto perché "non sappia la destra ciò che fa la sinistra!'.
Poi si volta e sparisce nella notte immobile e vasta dell'oriente.
IL MIRACOLO DELLE NAVI DEL GRANO
Gli anni più difficili tra gli anni difficili sono quelli della carestia. L'uomo senza cibo diventa fragile come un giunco e violento come una belva ferita.
Nicola da molto tempo combatte la carestia che tormenta la regione con parole e preghiere e fa distribuire da ogni chiesa quel poco che si può distribuire per dare un po' di sollievo agli affamati. Ma se i ricchi della terra sono sordi e ciechi non c'è volontà o forza che possa opporsi al cieco corso della natura.
E la carestia infuria sui campi inariditi, la terra spaccata. il seno senza latte delle donne, le labbra secche e i ventri gonfi su uno scheletro a stento coperto di pelle tesa e dura come pelle di tamburo.
Un giorno attraccano a un porto poco lontano tre navi in rotta per Alessandria, cariche di grano. Grano delle tasse da consegnare ai funzionari dell'imperatore nel grande porto di Alessandria.
Nicola va alle navi e chiede ai comandanti un po' di quel grano.
"Non possiamo" risponde uno dei comandanti mentre tutti abbassano gli occhi. Come si sente un uomo quando sa che è giusto fare una cosa ma ha ordini che gli impongono il contrario e la sua paura prevale sulla sua generosità?
Nicola non si scoraggia né s'infuria: insiste.
Come si può dire di no a un uomo così?
Ai funzionari dell'imperatore troveranno ben qualcosa da dire!
100 moggi di grano per nave scaricano. No, non è molto ma è abbastanza per affrontare il momento più cupo della fame.
Quando stanno salpando l'ancora Nicola dice ai comandanti: non abbiate paura. Ad Alessandria non mancherà nemmeno un solo chicco di frumento.
Giungono ad Alessandria sulle rive del mare e del Nilo.
Gettano le ancore in porto e scaricano il grano. Scaricano e scaricano e quando hanno finito di scaricare nemmeno un solo chicco di frumento manca alla pesa!
Allora ridono come folli e raccontano di aver donato il grano a Nicola e il grano invece è intatto!
E intanto Nicola distribuisce il grano a Myra e alla regione intera e ce n'è poco per ciascuno e basterà a stento per qualche giorno; ma il grano prelevato non diminuisce e anzi ce n'è per una semina straordinaria e non sono vuote le spighe che crescono e finisce la carestia e rende gloria a Dio la città di Myra e la regione intorno!

IL MIRACOLO DEI TRE RAGAZZI RISANATI
Così quando l'imperatore Costantino convoca il Concilio di Nicea anche Nicola è ínvitato con altri 300 vescovi.
Sulla strada si ferma in una locanda.
La locanda è un cubo di pietra imbiancata a calce coi muri spessi e piccole finestre profonde come gole.
Non c'è quasi nessuno a quest'ora in questa località dimenticata lungo una strada secondaria, dove rari viandanti lasciano qualche moneta rossa che basta a stento per sopravvivere.
Nicola siede, chiede una brocca d'acqua, un po' di pane e un po' di carne per sé e i suoi compagni.
L'oste è un uomo grasso dal viso segnato dal sole del deserto e dalla delusione, selvatico e cupo, abituato all'inganno e alla violenza.
Guarda Nicola per un attimo che risuona nell'eternità.
Poi sparisce nel retro. Torna con l'acqua e il pane, una larga focaccia bassa e cotta. Per la carne bisogna attendere ancora un po'. L'oste torna nel retro.
Sparivano a volte in quelle regioni bambini: per un po' li cercavano tutti poi restavano solo le madri e le sorelle a piangerli e venivano dimenticati.
L'oste nel retro apre un grande vaso dove con olio e spezie sono conservate carni. Ne estrae un tronco ancora quasi intatto di ragazzo, una coscia, un fegato: li sbatte sul grande tavolo di legno e con un grande coltello li fa a pezzi li pulisce e li prepara e poi li sistema su spiedi che mette sul fuoco.
Quando le carni sono cotte l'oste le porta nella sala a Nicola e ai suoi compagni.
Nicola sta immobile a guardare quegli spiedi che infílzano carni brune e anche i suoi compagni stanno fermi. Aggrottano le sopracciglia non sapendo cosa pensi Nicola ma non osano iniziare il pranzo prima di lui.
All'improvviso Nicola chiede dov'è il resto della carne.
"Quale resto?" risponde l'oste
"Quello da cui hai preso questi pezzi!"
"Di là sotto olio e spezie per conservarlo"
"Portalo qui!". L'oste prova a controbattere. Poi va nel retro. Ma non torna. Nicola lo raggiunge col piatto delle carni in mano.
L'oste è appoggiato alla giara con il resto delle carni. Nicola lo fissa. Posa il piatto delle carni. Poi alza la mano. L'oste ha un attimo di terrore.
Nicola alza la mano nel segno di benedizione e come per un incantamento la giara si scuote, sussulta, trema. Poi dalla giara esce una mano, una testa, un ragazzo. E subito dietro altri due ragazzi. L'oste pazzo di terrore si schianta in un angolo.
Fuori la notte è dolce sul deserto e i ragazzi tornano correndo verso il loro villaggio.
Da allora Nicola è il santo protettore dei bambini.

IL MIRACOLO DEGLI STRATILATI
Regnava Costantino Imperatore quando tre Stratilati cioè tre generali inviati a sedare una ribellione nell'Impero, ottennero un così pieno e straordinario risultato da essere accolti nella capitale con tutti gli onori dovuti a uomini giusti e forti, fedeli ai loro doveri e alla loro dignità.
Nell'infinita ambiguità delle cose umane è facile che il Capo Supremo l'Imperatore sospetti dei suoi generali vincitori e che elimini pian piano tutti quelli che l'hanno aiutato nella sua scalata verso il potere e che l'hanno fedelmente servito facendo della sua la loro causa.
Così proprio la loro fedeltà e la loro abnegazione e le loro stesse vittorie diventano motivo di sospetto e poi prove a carico, elementi di colpa.
L'Imperatore fa catturare i generali, li degrada e li getta in prigione. Poi li dimentica.
Ma una notte l'imperatore sente vicina la morte, come una grande ala oscura che si stende sul mondo e sui suoi occhi. Il giorno seguente ordina che all'alba successiva i tre Stratilati, i Generali, siano giustiziati.
Per sicurezza nessuno, nemmeno loro tre, devono sapere niente fino all'ultimo.
Ma i segreti degli uomini sono fragili come ali di farfalla. Ilarione il custode della
prigione sa subito tutto. E parla. Entra nella cella dei tre Stratilati e tra le lacrime dice: "domattina sarete giustiziati!".
I tre Stratilati speravano ancora che la verità venisse fuori e li salvasse.
Ma adesso tutto appare perduto. Domattina la menzogna avrà vinto e sarà la fine. Nell'abisso del dolore, nella disperazione per l'insensatezza di una morte ingiusta, gridano forte a Dio e invocano Nicola, santo vescovo di Myra, protettore degli innocenti. Quella notte l'Imperatore dorme di un sonno agitato e sogna sogni che non ricorda ma lo lasciano inquieto e bagnato di sudore. Infíne quasi verso l'alba sogna un uomo che avanza dal fondo del suo sonno e gli dice: perché hai fatto arrestare ingiustamente i Generali? Tu che dici d'essere la giustizia condanni tre innocenti senza colpa. Alzati e ferma la mano del boia. O io pregherò l'Eterno perchè scoppino rivolte e guerre in ogni dove nel tuo impero e ai suoi confini e tu sia travolto!
L'unica domanda che l'Imperatore in sogno sa fare è: "chi sei tu che mi minacci?'. "Nicola, servo peccatore di Dio e vescovo di Myra!".
Nella stessa notte un incubo ancora più sconvolgente spacca il sonno del prefetto: lo stesso uomo esce dal fondo del suo sonno e lo accusa d'essere il pazzo che ha fatto condannare degli innocenti e gli promette con una visione che il suo corpo ancora vivo sarà divorato dai vermi!
Ancora una volta prima di svanire il sogno dice "Sono Nicola, servo peccatore di Dio e vescovo di Myra!".Il giorno dopo i tre Stratilati sono davanti all'Imperatore.
Ma l'Imperatore vuole sapere quali arti magiche hanno usato per entrare nel suo sonno. I tre Stratilati non hanno voce per rispondere. La sola cosa che sa dire il più anziano è "abbiamo pregato tutta notte Nicola, vescovo di Myra, protettore degli innocenti!".
Non c'è bisogno d'altro perché siano liberati, coperti di scuse e reintegrati nel loro grado. Inoltre l'Imperatore affida loro ricchi doni per la chiesa di Myra da portare a Nicola il santo vescovo perché implori da Dio la pace sull'Impero di Costantino. 




SECONDO RACCONTO
LA TRASLAZIONE DELLE SPOGLIE
I NOBILI E L'INIZIO DELL'IMPRESA
Commerciano in grano e altre merci i signori di Bari, illustri per casata e nascita e saggi per virtù personale, e le navi scivolano veloci lungo le coste della Grecia dei bizantini e poi attraverso le isole dell'antico Egeo, più numerose delle stelle in cielo nella notte estiva.
Nelle lunghe serate di inverno parlano tra loro della bella Bari, decaduta dopo che il Catapano, il Governatore Bizantino, l'ha abbandonata; e di come la bella città, che ha il sole del primo mattino in pieno viso, ora scivoli verso un'oscura povertà come una nave senza pilota.
Raccontano anche a lungo e molto le gesta sante del vescovo di Myra San Nicola, il Confessore di Dio. Se ne sono consolati, sospirando un così grande protettore per la bella città che per prima guarda il sole alzarsi dai suoi giacigli marini, ma un'ombra li ha poi sempre accompagnati al sonno: Duchi Signori e persino Imperatori avevano cercato di prendere le spoglie di S. Nicola che dormono nella Chiesa antica del Monastero di Myra, e alcuni con la forza, altri con l'inganno o l'astuzia, altri con l'autorità o le suppliche, ma tutti tutti erano stati rimandati a mani vuote dal Santo stesso che non intendeva lasciarsi allontanare dalla sua città e dalla sua cattedra di vescovo.
Tutti sanno che un tempo, di ritorno da Roma e in attesa d'imbarcarsi per Myra, San Nicola stesso disse "Hic quiescent ossa mea" "Qui riposeranno le mie ossa" e qualcuno dice anche che il Santo è comparso in sogno a un sacerdote di Bari, un sant'uomo, e ha detto "E' tempo: venite a prendermi"; e passano la voce e il sacerdote presto diventa lo stesso santo abate del monastero di S. Benedetto.
"E' tempo: venite a prendermi": questa frase non dà pace tra i giochi d'arme, la vita di Corte, l'avveduto commercio con il vicino Oriente. "Venite a prendermi!".
Ma in quel tempo tutta la bella terra della vicina Asia è in mano ai Turchi Musulmani che si beffano dei Greci Cristiani e insidiano la stessa capitale, la grande Bisanzio, erede della città di Costantino, la Costantinopoli dei tempi di Nicola, Vescovo di Myra.
Mandano allora i Baresi a Myra due pellegrini di ritorno dalle vie polverose del pellegrinaggio che conduce alla santa tra le città, la Gerusalemme immagine e segno della città celeste, per vedere se è ancora occupata dai numerosi nobili Turchi che l'avevano raggiunta per i funerali di un califfo.
Quando tornano i due pellegrini pieni di speranza che, col loro viaggio si sono pagati la traversata di ritorno fino a Bari, tutti gli si fanno intorno e i pellegrini dicono che sì, si può andare senza pericolo fino a Myra, e là non ci sono piú Turchi, e si arriva fino alla tomba del Santo senza ostacoli o guardie.
Ma anche i Veneziani s'accingono all'impresa e già hanno preparato armi e attrezzi, pale e picconi per tentare l'impresa e aspettano solo l'occasione.
Tre navi baresi rompono gli indugi, salpano dal porto di Antiochia e si spingono pericolosamente lungo la costa verso Myra.

GLI SCRIVANI
Ci sono - lo affermano- varchi o gallerie nello spazio-tempo che annullano la differenza dei luoghi e dei tempi e l'inganno che tutti trascina nella gran corsa dei secoli e dei millenni.
In uno stato di quiete, all'incerta luce delle lampade, mentre fuori una grande notte consola l'universo, sapienti d'altri tempi e pensieri e dei parlano al ritmo lento dell'eterno.
Così Niceforo che di sé dice 'l'ultimo di tutti i chierici', e il monaco di Benevento che ha cancellato il suo nome, e Giovanni Arcidiacono obbediente ai severi ordini dell'Arcivescovo Ursone di Bari e di Canosa, e un oscuro lettore dei loro testi nella remota terra dei Franchi che cerca di restituirne una terza e più vera versione, e il poeta che ha voluto si dimenticasse il suo nome e si ricordasse solo il suo 'Poema sulla vita e i miracoli di San Nicola', e il Gesuita Beatillo, figlio degli splendori barocchi, e il Putignani, all'estrema decadenza del secolo, e l'antico Giovanni Diacono - che di sé dice "indegnamente diacono e servo"- e forse primo tra i primi intraprende il racconto della vita di S. Nicola - il Confessore di Dio -, e il monaco Russo che non ha voluto lasciare il suo nome in fondo al manoscritto in minuti caratteri cirillici, e gli altri che tanti in ogni tempo e luogo hanno messo mano al racconto della vita dei miracoli e del viaggio delle spoglie di S. Nicola, fino all'ultimo e più piccolo poeta che, indegnamente, aggiunge il suo racconto agli altri e passa ad altri di maggior ingegno il testimone del racconto per domani; tutti tutti in certi attimi della sapienza si ritrovano a raccontare pacatamente il loro racconto e ad aggiungere il loro pezzo di legno al fuoco che arde nel camino e rischiara la stanza nella penombra cosmica.
E il racconto in questa notte immobile uscita dal tempo e naufragata nell'eternità è ancora e di nuovo il racconto del viaggio delle navi baresi dalla lontana Myra alle sponde dell'Adriatico con il prezioso carico delle reliquie di S. Nicola.

I MARINAI E LA CHIESA DI MYRA
La sera stessa mentre s'allungano le ombre e un po' di luce occidentale inonda il mare salpano i Baresi dal porto di Antiochia e si spingono pericolosamente lungo la costa della vicina Asia verso Myra.
Le tre navi scivolano in silenzio nel silenzio delle ombre e sulle navi sono i marinai di cui l'impresa ha fatto bello il nome e narrato nei libri dei sapienti e dei copisti.
Attraccano a Myra le tre navi nel modo consueto con la bella manovra dei nocchieri esperti del mare e dei suoi porti.
Poi 47 dei marinai lasciano le navi e portano con sé ben nascosti pali e attrezzi da scavo e picconi e armi per difendersi dai Turchi che occupano quelle regioni.Altri 15 marinai coi due nocchieri Summissimo e Giannoccaro restano in armi alle navi pronti a difenderle e a partire in fretta.
Arrivano alla chiesa i 47 marinai e chiedono ai quattro monaci dove sia la tomba del Santo. Senza sospetto dicono i quattro monaci e mostrano la fonte da cui scorre un sacro liquido che guarisce i mali e risana le anime. Mostrano la spugna intrisa del miron la santa manna come la chiamano quei monaci e attendono le opere di fede e i doni dei pellegrini alla tomba del Santo.
Ma i marinai chiedono e chiedono e insistono con domande e vogliono sapere tanto che i monaci cominciano a balbettare risposte sempre più incerte e poi cercano di non rispondere più altro e poi con un sussulto di spavento: "Ma voi volete portar via le spoglie del Santo Vescovo Nicola!".
Il loro grido si perde nella chiesa vuota. Poi il primo tra tutti i marinai di Bari dice: "E' per questo che siamo venuti e non vogliamo nasconderlo!".
Un monaco si lancia verso la porta della chiesa e spera che la sorpresa gli dia il tempo di
gridare l'allarme. Ma più lesti i giovani dei marinai gli sono addosso lo fermano e lo immobilizzano.
Poi tutti s'avvicinano alla tomba del Santo.
Sono lì davanti la guardano ... ma esitano.
All'improvviso sembra sacrilegio aprire la tomba dove da tanti secoli riposa il Santo.
Proprio allora un'ampolla di cristallo cade dall'alto d'una colonna a terra con gran fragore e risuona come una campana che richiama al dovere per le navate vuote della chiesa.
E non si rompe!
Allora Matteo il giovane impetuoso afferra una mazza e -spezza l'antica pietra e apre l'urna e trova la tomba piena dei sacro miron. Affonda le mani e raccoglie le ossa del santo e le consegna a prete Lupo e prete Grimoaldo che le avvolgono con cura nelle loro vesti nuove e nei paramenti di seta. Poi ancora Matteo affonda le mani e cerca senza paura finchè trova anche il cranio del Santo e con cura infinita lo estrae e lo dà ai preti.
Allora uno dei monaci di Myra abbassa gli occhi e dice: "L'anno scorso il Santo stesso m'è apparso in visione e ha detto che presto avrebbe cambiato la sua dimora. Ora noi paghiamo la nostra miseria e il nostro peccato. Nonostante gli ammonimenti del Santo Confessore di Dio noi siamo rimasti nel nostro peccato e ora il Santo ci lascia. Beati voi che avete il suo favore. Quanto a noi crediamo che non ci abbandonerà del tutto".
Così quando i marinai di Bari cercano di staccare da una parete un grande e bel quadro un'icona antica nello splendore bizantino non riescono a staccarlo e devono desistere nonostante il lungo affaticarsi.
Allora uno dei più saggi dice: "Ecco vedete? Il Santo cambia dimora ma non vuole abbandonarvi del tutto!".
Poi rapidi tornano alle navi e rapidi si preparano a partire.
Ma prima di salire sulle navi scoppia la lite!
"Le reliquie devono viaggiare con noi!
"No, con noi!
"Sulla vostra nave? Mai!
"E' più sicura la nostra e tiene meglio il mare. Le reliquie sono più al sicuro con noi!
"Non avrete mai l'onore!"
Ma già gli abitanti di Myra avvertiti dai monaci accorrono in armi alla spiaggia gridando di disperazione.
Allora uno dei marinai dice: "Le reliquie viaggeranno con colui che ha saputo aprire la tomba del Santo! Viaggeranno sulla nave di Matteo!"
Mentre il pericolo guadagna terreno alla velocità della disperazione i 62 marinai baresi sono tutti d'accordo, corrono alle navi salpano le ancore e a forza di remi guadagnano il largo proprio mentre i primi e più veloci tra gli abitanti di Myra entrano in acqua brandendo le armi.
Così s'allontanano le tre navi mentre dalla spiaggia nera di folla s'alza un lungo lamento.

I VESCOVI E LA CITTA'
Sbarcano dopo venti giorni esatti a S. Giorgio i marinai e baciano la terra e festeggiano mentre tutto il cielo d'oriente di nuovo e luminoso giorno.
Da S. Giorgio veloce la notizia dell'arrivo del Santo si sparge nella città di Bari e allora parenti e amici si fanno incontro alle tre navi.
I marinai hanno costruito una cassa di legno fresco dove riposano i resti di S. Nicola e l'hanno avvolta di stoffe pregiate comprate ad Antiochia e la portano con ogni onore sul ponte della nave di Matteo.
Quando le barche d'ogni genere e tipo, grandezza e ricchezza, si sono fatte strette attorno alle tre navi numerose come isole dell'Egeo o stelle in una notte estiva ecco che i comandanti dicono di aver giurato al Santo che gli costruiranno una nuova e più grande chiesa in Bari nel cortile detto del "Catepano" dove un tempo erano gli alloggi e gli uffici del Governatore bizantino chiamato Catepano e le installazioni militari della sua guardia.
Sulla spiaggia intanto e sulle banchine del porto tutta Bari è radunata nobili e artigiani popolani e signori e i sacerdoti e i diaconi in paramenti sacri e le donne e tutti gridano lodi al Santo venuto da di là del mare.
Ma quando giunge la voce che i marinai hanno giurato di costruire una nuova chiesa la discordia mai sazia e insonne scende tra i cittadini della bella Bari radunati sulla spiaggia.
Alcuni subito accettano la proposta e s'uniscono al coro festoso delle grida e quasi tutti gli artigiani e il popolo sono d'accordo.
Ma altri e i signori innanzitutto si ribellano e giurano che la nuova casa del Santo sarà l'episcopio dove ha sede il Vescovo.
Scoppia subito il diverbio e le parole si fanno dure e taglienti e già qualcuno nette le mani alle lame quand'ecco che si fa avanti il vecchio e santo abate del Monastero di S. Benedetto l'abate Elia e dice: "Non vi vergognate a litigare così? Il santo è venuto qui da di là del mare per tutti. Allora chiedo che a me e al monastero di S. Benedetto siano affidate le reliquie del Confessore di Dio. E questo sino a quando il popolo non sarà d'accordo e la nuova chiesa nella corte statale sarà pronta!".
Nessuno osa protestare perché l'abate Elia ha parlato come uno che parla con autorità.
Suonano le campane a festa e le reliquie prendono terra e scortate dai marinai armati vengono portate all'altare di S. Benedetto.
Poi i marinai armati e altri armati numerosi colore spighe nei campi si dispongono tutt'intorno perché nessuno pensi di rubare le reliquie con la forza.
Il giorno dopo torna il Vescovo Ursone da Canosa dove si trovava all'arrivo delle reliquie.
Va senza altre tappe alla chiesa del monastero di S. Benedetto e rende il dovuto omaggio al Santo Nicola Vescovo Confessore di Dio.
Poi torna alla sede episcopale e ordina "che le sante reliquie di S. Nicola siano trasferite con una grande processione alla sede del Vescovo come degna dimora per il Santo che fu Vescovo".
Ma allora tutta la gente accorre e si arma e si stringe attorno all'altare di S. Benedetto e ai marinai e ai comandanti ed è pronta a combattere.
Davanti i soldati del Vescovo e dei maggiorenti della città armati di ferro.
E' uno strano sguardo quello che coglie i due eserciti schierati in tutto diversi nel numero nelle armi nell'ordine ma in tutto simili nella decisione di avere per sé il corpo del Santo.
Quante altre volte succederà ancora che i soldati di professione bene armati ed equipaggiati si troveranno di fronte la gente male armata mai nutrita ma decisa a tutto?
Eppure quanta meraviglia a vedere i due eserciti così dissimili ma entrambi disposti a tutto.
Proprio prima dell'irreparabile però una delegazione di comandanti del popolo va dal Vescovo Ursone. Chiede con umiltà e determinazione che il Vescovo conceda la costruzione della nuova chiesa. Ma il Vescovo distratto li ascolta appena e infine parla ma non dice. Così tornano i comandanti del popolo all'altare di San Benedetto e alle reliquie di S. Nicola.
Allora i soldati del Vescovo e dei maggiorenti della città attaccano l'altare e nello scontro le parole cedono il posto alle grida e alle armi.
Due giovani cadono morti da entrambe le parti e bagnano col loro sangue la terra di Bari sotto gli occhi del Santo.
Solo allora cessa il tumulto e tutti sgomenti si chiedono cos'hanno fatto!
C'è voluto il sangue di due innocenti per battezzare la nuova casa di San Nicola!
Allora tutto il popolo e il clero e i maggiorenti e il Vescovo Ursone accettano la promessa fatta al Santo dai marinai e si dedicano alla costruzione della grande chiesa nella corte del Catepano.
Alla guida dei lavori è lo stesso santo abate Elia che custodisce il corpo in attesa che la nuova casa di San Nicola sia pronta.
Così le reliquie e il corpo di S. Nicola sono arrivate a Bari il 9 maggio dell'anno del Signore 1087. E qui dunque è finito il nostro racconto.


Fonte:  http://www.barisera.it/festepatronali/sannicola/racconto.shtml

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