SANT’AMBROGIO
Ambrogio nacque a Treviri, quando il padre era prefetto della Gallia; dopo la morte di quest’ultimo la madre tornò a Roma con i figli; Ambrogio fu molto debitore alla madre e alla sorella S. Marcellina. Imparò il greco, divenne un buon poeta e oratore, e proseguì intraprendendo una carriera legale piena di successi. L’imperatore Valentiniano lo nominò governatore della Liguria e dellEmilia, un rango consolare a tutti gli effetti, con residenza a Milano, prima dei quarant’anni.La sua regola per evitare controversie era quella di non partecipare alle riunioni in cui si concordavano i matrimoni. Parlava frequentemente in favore della verginità delle donne tanto che le madri cercavano di tenere lontane le figlie dalla chiesa, durante le sue prediche.
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In questo periodo la Chiesa era divisa dalla controversia sull’eresia ariana (la credenza che Cristo sia stato creato da Dio come strumento di salvezza, ma che non sia consustanziale al Padre). Assenio, vescovo di Milano, era ariano e, alla sua morte nel 374, la città era divisa da una contesa su chi dovesse esser il successore. Le due fazioni non riuscirono ad accordarsi sulla scelta di un candidato, e vi furono sommosse anche in strada. Ambrogio si recò in chiesa e parlò al popolo, esortandolo a scegliere pacificamente. Mentre parlava, una voce, a quanto pare quella di un bambino, gridò: “Ambrogio vescovo!” e l’intera assemblea ripetè il grido. Ambrogio si stupì: sebbene fosse diventato cristiano, tuttavia non era stato battezzato e non aveva ambizioni per quanto riguardava la carriera ecclesiastica. Data la sua capacità di riconciliare le due fazioni opposte e il supporto del popolo, i vescovi della provincia ratificarono l’elezione. Ambrogio pose l’accento sull’inadeguatezza di quella scelta, ma l’imperatore Valentiniano commentò che gli procurava un immenso piacere aver scelto un governatore adatto a svolgere l’ufficio episcopale, perciò nel giro di una settimana Ambrogio fu battezzato e consacrato.I goti invasero i territori romani a Oriente, e l’imperatore Graziano decise di guidare un esercito in aiuto di suo zio, Valente; giacchè quest’ultimo era ariano, Graziano chiese a Sant’Ambrogio istruzioni su come proteggerlo contro quell’eresia. Ambrogio scrisse di conseguenza il trattato A Graziano, La Fede, che successivamente ampliò. Mentre i goti facevano scorribande lungo l’Adriatico e attraverso la Grecia, spese tutto il denaro che era riuscito a raccogliere per riscattare i prigionieri e fece fondere dei vasi d’oro di proprietà della Chiesa, per aumentare la somma. Gli ariani lo accusarono di sacrilegio, ma sant’Ambrogio replicò che era meglio salvare le anime degli uomini piuttosto che l’oro.
“Se la Chiesa possiede oro, è per usarlo per i bisognosi, non per conservarlo”
Dopo l’assassinio di Graziano nel 383, l’imperatrice Giustina implorò Ambrogio di supplicare l’usurpatore Massimo a rinunciare all’attacco contro suo figlio Valentiniano II. Ambrogio si recò a Treviri e convinse Massimo a limitarsi a Gallia, Spagna e Bretagna. A quanto pare era la prima volta che un sacerdote cristiano veniva chiamato a vendicare il diritto e l’ordine contro un usurpatore armato. In questo periodo alcuni senatori a Roma stavano cercando di ristabilire il culto della dea della vittoria; erano capeggiati da Quinto Aurelio Simmaco, studioso ed eccellente oratore, che stilò una petizione chiedendo a Valentiniano di ripristinare l’altare della vittoria nel palazzo del senato cui attribuiva le vittorie e la prosperità dell’antica Roma. La petizione era un attacco nascosto contro i cristiani; Ambrogio scrisse a Valentiniano chiedendogli una copia e poi scrisse la risposta, in cui ridicolizzava l’opinione che gli onori acquisiti con il valore militare fossero dovuti ai sacrifici di bestiame ed esortò i romani a cambiare, giacchè il mondo era in evoluzione.
S’appellò a Simmaco e ai suoi amici affinchè imparassero i misteri della natura da Dio che l’ha creata, terminando con una parabola sul progresso e lo sviluppo del mondo. Entrambi i documenti, quello di Simmaco e quello di Ambrogio, furono letti al cospetto di Valentiniano, in un concilio, poi l’imperatore espresse un giudizio che fu, viste le circostanze di questa discussione accalorata sul vecchio e il nuovo, veloce e plausibile: affermò che suo padre non aveva rimosso l’altare della vittoria, né l’aveva ripristinato, perciò proponeva di mantenere la tradizione non intervenendo in nessun senso. Il movimento per il culto della vittoria fallì non perchè era troppo antico, ma perchè l’imperatore lo considerava un’innovazione ingiustificata.
“Possa Dio concedertelo, allora sopporterò la morte come dovrebbe fare un vescovo, e tu agirai secondo la tua razza!”
Nel gennaio del 386 fu approvata una legge che autorizzava le assemblee religiose degli ariani e in realtà bandiva quella dei cristiani: proibiva a tutti, pena la morte, di opporsi alle assemblee ariane o ostacolare il possesso di chiese. Ambrogio, incurante di questa legge, rifiutò di consegnare anche una sola chiesa:
“Ho detto quello che dovrebbe dire un vescovo, ora l’imperatore faccia ciò che deve fare un imperatore. Nessuno cederà l’eredità dei nostri avi, e io dovrei rinunciare a quella di Cristo?”
La domenica delle Palme pronunciò un’omelia sul fatto di cedere le chiese; temendo per la sua incolumità, il popolo si barricò nella basilicata con il suo pastore. Le truppe imperiali circondarono il luogo, e li posero sotto assedio per farli morire di fame, ma il giorno di Pasqua erano ancora vivi. Per occupare il tempo, Ambrogio, insegnò salmi e canti composti da lui, che, sotto la sua direzione, cantavano in due cori, alternandosi. Ambrogio raccontò alla congregazione tutto ciò che era accaduto tra lui e Valentiniano negli anni passati e riassunse il principio in discussione:
“L’imperatore è nella Chiesa, non sopra“.
“Si privò di tutte le insegne della nobiltà e ammise la sua colpa apertamente in chiesa. L’imperatore non si vergognò di pentirsi pubblicamente, cosa che alcune persone di rango inferiore non fanno, e alla fine non cessò mai di provare rimorso per il suo errore“.
Ad Ambrogio non importava la ricchezza o la posizione: dimostrò che la moralità cristina riguarda sia gli imperatori sia gli altri fedeli. Ambrogio sopravvisse a Teodosio per soli 2 anni, e uno dei suoi ultimi trattati fu intitolato Il bene della morte. Quando si ammalò, ebbe la premonizione che sarebbe morto, ma non prima di Pasqua. Continuò a studiare come al solito e cominciò la stesura del 43esimo salmo, che tuttavia non portò a termine. Il giorno della morte giacque con le mani a forma di croce per diverse ore, mormorando un incessante preghiera. Il suo amico Onorato di Vercelli, che si trovava nella stanza accanto, credette di sentire una voce che gli suggerì di andare velocemente al capezzale di Ambrogio: gli diede gli ultimi sacramenti prima della morte. Era il 4 Aprile del 397, un Venerdì Santo, ed Ambrogio aveva 57 anni. La sepoltura avvenne il giorno di Pasqua; le reliquie riposarono sotto l’altare maggiore della sua basilica a Milano, dove furono riposte nell’845.
Ambrogio scrisse numerose opere, la maggior parte in forma omeletica; l’inno intitolato Aeternae rerum conditor del Breviario è certamente suo, e gliene sono stati attribuiti altri. al declino dell’impero romano in Occidente, queste opere diedero al latino il nuovo stato di lingua universale della Chiesa. Di se stesso scrisse:
“Non […] chiedo per me la gloria degli apostoli […] né la grazia dei profeti, né la virtù degli evangelisti, né la cura attenta dei pastori. Desidero solo raggiungere quell’attenzione e diligenza necessaria agli scritti sacri che l’Apostolo [Paolo] ha elencato tra i compiti dei santi; è proprio questo che desidero, in modo da poter imparare, insegnando.”
FONTE: Il primo grande dizionario dei Santi di Alban Butler
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