04 Ottobre
Sono talmente numerosi i tratti affascinanti della figura di Francesco che si corre
sempre il pericolo di soffermarsi su quelli che più attirano la nostra sensibilità moderna, trascurando altre caratteristiche, forse meno suggestive, ma…
Per essere compresa e apprezzata adeguatamente, l’attività
di Francesco deve essere valutata nel contesto del suo tempo. Il periodo a cavallo tra il XII e il XIII secolo rappresentò un momento di
grave crisi per la Chiesa: osservatori attenti sottolinearono con preoccupazione il
declino in tutta Europa della vita di fede;
lo sviluppo delle città poneva problemi nuovi a una Chiesa che
custodiva un’attività pastorale ancora commisurata a una realtà
essenzialmente rurale; tra i gruppi che lottavano con sincerità per una
riforma della Chiesa
si stava diffondendo l’eresia e inoltre cominciavano ad apparire
i primi segni di una pratica religiosa alternativa, sottratta al controllo delle autorità ecclesiastiche.
In qualche misura, la predicazione di Francesco e
gli ideali da lui diffusi ottennero un rapido consenso proprio perché risposero alla evidente necessità di una riforma e all’esigenza, già diffusamente avvertita, di un ritorno a una fede più semplice e pura.
I nuovi frati, invece,
si pongono come una forza dinamica direttamente coinvolta nelle necessità di quel mondo.
L’aspetto più preoccupante per Francesco sono le interpretazioni concilianti del suo
insistente richiamo all’assoluta povertà, al
punto che deve rimproverare duramente i frati di Bologna, perché vivono
in una graziosa casa in pietra e progettano di aprire una scuola legata
all’università.

Di Francesco sono state elogiate
l’insistenza sulla povertà e la preoccupazione concreta per i poveri; l’atteggiamento di
indifferenza per l’erudizione dei teologi in un tentativo di raggiungere il cuore del Vangelo;
l’umiltà e il continuo mettersi in disparte; l’amore per gli animali e l’evidente
comunione con il mondo naturale (al punto che è stato salutato come il primo ambientalista).
Ha affascinato alcuni perché annunciava la pace e cercava di portare la riconciliazione, altri perché diede un grande rilievo all’umanità di Gesù, donandoci il presepio. Francesco è santo perché ha sinceramente seguito il Vangelo e perché ha lottato per rispondere alle esigenze della Chiesa e della società del XII secolo; la sua santità ci provoca a cambiare le nostre vite e a non addormentarci sulle convenzioni e sui modi di pensare abituali.
Per quanto simpatico e amabile, Francesco deve aver creato anche un po’ di spavento, come del resto provocano tutti i radicali: la sua fu una vita guidata da
un unico pensiero,
diventare quanto più umanamente possibile conforme a Cristo; era pertanto necessario obbedire ad ogni parola di Gesù, e
ogni azione doveva essere verificata alla luce della sua volontà.
In una delle
sue Ammonizioni ai frati scrisse:
«Ogni giorno Gesù si
umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine;
ogni giorno viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal
seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote. Egli si mostra a
noi nel pane consacrato così come una volta si mostrò agli apostoli
nella vera carne».
È a motivo dell’eucarestia che Francesco tenne in così grande onore il sacerdozio.
Ci si sarebbe potuti aspettare che, come riformatore, Francesco si
dimostrasse critico nei confronti di coloro la cui vita sacerdotale
offriva occasione di scandalo o non raggiungeva un adeguato grado di
dedizione alla propria missione. Ma
i numerosi aneddoti riportati mostrano che la sua venerazione per il ministero
superava sempre ogni possibile condanna dell’individuo.
Trovatosi un giorno davanti a un prete che viveva con una concubina ed
essendogli stato chiesto con malizia che cosa si doveva fare con un tale
peccatore, rispose:
«Che tu sia un peccatore non lo so, ciò che so è che le tue mani possono toccare il Verbo di Dio»; quindi, inginocchiatosi, baciò le mani del sacerdote. Tommaso da Celano scrive che Francesco era solito dire:
«Se
mi capitasse di incontrare un santo che viene dal cielo e un povero
prete, saluterei prima il prete e gli bacerei le mani. Direi, infatti,
“Caro S. Lorenzo, aspetta, perché le mani di costui possono toccare il
Verbo di vita e possiedono un potere sovrumano”».
L’altra strada che, secondo Francesco, conduce direttamente a Cristo è costituita dalla Sacra Scrittura,
in quanto essa ne riporta le parole, i comandi e ci parla della sua
vita. L’amore che nutre per essa e la capacità di citarne ampi passi
mostrano quanto profondamente egli debba averla meditata e pregata.
Nelle sei lettere di sua mano giunte fino a noi trovano posto numerose
citazione dall’Antico e dal Nuovo Testamento; la sua venerazione si
spinge ancora oltre: egli
nutriva una stupefacente venerazione per la Bibbia, arrivando a esortare i frati perché
«dovunque trovino le parole
divine scritte, come possono, le venerino [...] e si prendano
amorevolmente cura di loro, onorando nelle sue parole il Signore che le
ha pronunciate». Esistevano a quel tempo altri gruppi e
movimenti che cercavano di vivere in conformità col il Vangelo, ma al di
fuori o in maniera autonoma rispetto alla Chiesa. Non era il caso di Francesco, il quale
vedeva in essa un prolungamento dell’incarnazione di Cristo,
un’altra manifestazione del Salvatore, morto per noi: non era
concepibile alcun contrasto tra il Cristo raggiungibile attraverso la
Scrittura e il Cristo raggiungibile attraverso la Chiesa. La
spiritualità di Francesco era sacramentale, biblica ed ecclesiale.
Per Francesco, Cristo è la via che conduce al Padre.
Traspare da tutti i suoi scritti una profonda venerazione per il potere
di Dio, per la divina provvidenza che si prende cura della creazione, e
per il Padre, fonte di ogni bene. L’invocazione più amata da Francesco
era
«Mio Dio e mio tutto!».
È importante comprendere la potenza che Francesco attribuiva al nome di Dio e il suo desiderio di lodarlo in ogni cosa facesse. Cristo
è considerato la principale manifestazione dell’amore del Padre e a lui
ne accosta un’altra, il mondo creato: è questo un ulteriore aspetto del
modo di pensare di Francesco, da cui deriva la sua preoccupazione e
comunione con l’intera creazione, animata e inanimata.
Francesco amava e si prendeva cura del mondo naturale per due ragioni fondamentali: in quanto opera di Dio, esso era in se stesso buono, e inoltre recava l’impronta del Creatore e di Cristo: questa concezione serviva a correggere quei movimenti ereticali del tempo, venati di un certo manicheismo, secondo i quali il mondo materiale, in quanto opera del demonio, è malvagio, e per i quali Cristo non può aver assunto un corpo materiale, aver sofferto ed essere morto.
Proprio in quanto buono in se stesso, il creato provocava in Francesco il
ricordo di Cristo, secondo modalità che ai nostri occhi possono
apparire esagerate: per esempio, evitò di calpestare un verme perché
nella Scrittura sono riferite a Cristo le parole «Io sono verme, non
uomo»; si oppose allo sradicamento di un albero, perché Cristo era un
virgulto del tronco di Iesse; vedendo uccidere un agnello, subito si
ricordò della morte dell’Agnello di Dio; una roccia lo faceva pensare a
Cristo, pietra angolare. Era questo che aveva in mente Francesco, quando
disse
«Essendo noi ciechi, il Signore ci apre gli occhi per mezzo delle sue creature», o quando esclamò
«Ogni creatura afferma “Dio mi ha fatto a tuo beneficio, o uomo”»?
Francesco si votò totalmente alla povertà e all’umiltà:
le altre quattro virtù che raccomandò ai frati sono la sapienza (che chiamava la «regina delle virtù»),
la semplicità, la carità («la santa signora»),
e l’obbedienza. L’amore che i frati

dovevano nutrire verso Dio, verso le persone e tra loro stessi, doveva superare quello di una madre per il suo bambino.
L’obbedienza deve essere cieca,
«come quella di un cadavere », che è privo di una volontà propria, ed esercitata nei confronti di ogni superiore e della regola;
essa infatti
serve a «umiliare
tutte le volontà corporali e carnali, e a mortificare i propri istinti,
per sottomettersi allo Spirito e ai nostri simili». Attraverso l’obbedienza i frati si rendevano disponibili a cercare di compiere solo la volontà di Dio.
Si potrebbe aggiungere
un’ultima virtù, la gioia. Da un certo punto di vista, ciò è abbastanza chiaro: «
Fa’ sempre del tuo meglio » ammoniva
« per
essere lieto, mentre sei con me e con gli altri fratelli; non si addice
a un servo di Dio mostrare un volto triste o cupo ai propri fratelli o a
chiunque altro». Ma d’altro canto questa gioia era ben diversa dall’allegria e dalla felicità esteriore: era infatti
più probabile sorprendere Francesco a piangere piuttosto che a ridere,
anche se questo non ne intaccava assolutamente l’intima gioia, quella che vince la stanchezza e la malattia, che supera l’ironia e l’ostilità degli altri e il tradimento degli amici.

Egli non ha mai disprezzato la cultura, ma semplicemente ne ha temuto alcune conseguenze per i suoi figli: sarebbe infatti
stato un bene se avessero studiato soprattutto la Parola di Dio per migliorare se stessi («per predicare a se stessi, piuttosto che per parlare con erudizione agli altri»),
ma avvertiva che lo studio avrebbe potuto con facilità alimentare la vanità, distruggendo la carità e la preghiera.
Francesco soprattutto temeva che
Madonna Dottrina diventasse
rivale di Madonna Povertà, ma infatti
accoglie
nell’ordine molte persone erudite, acconsentendo che proseguano negli
studi teologici, e loda in generale i teologi nella misura in cui
spiegano la Scrittura alla gente. Verso la fine della vita,
nonostante l’iniziale divieto, approva l’istituzione di una scuola
teologica a Bologna e qui il primo a rivestire la carica di lettore sarà
S. Antonio da Padova (13 giu.).
Fonte:
Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler
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