Di origine siriaca, Ignazio nacque circa nel 37 e divenne vescovo dell’importantissima sede di Antiochia intorno all’anno 69; secondo alcuni, è stato discepolo di S. Giovanni Evangelista. A motivo della fede e della carica fu imprigionato e mandato in catene a Roma (era forse cittadino romano) dove subì il martirio durante l’impero di Traiano, intorno all’anno 107 (alcuni autori tendono a posticipare di qualche anno la sua morte, ponendola tra il 110 e il 117).
VIDEO-STORIA
Sulla strada per Roma Ignazio incontrò S. Policarpo (23 feb.), vescovo di Smirne, e le diverse comunità cristiane diffuse lungo il suo itinerario, ricevendone calorosa accoglienza. In questo stesso viaggio scrisse ad alcune Chiese dell’Asia Minore e ai cristiani di Roma sette lettere, di grande importanza perché ci offrono una vivissima testimonianza del cristianesimo (e della dottrina professata) del I secolo e perché costituiscono la fonte principale di informazione a proposito di Ignazio stesso. In esse egli si rivela come una persona profondamente spirituale e istruita, pervasa da un pressante desiderio del martirio.
Catechesi Audio
in formato Mp3 del Santo Padre Benedetto XVI sui Padri della Chiesa parla di Sant’Ignazio di AntiochiaNon appena Ignazio fu vicino a Roma, i cristiani della città gli vennero incontro, rallegrandosi per il fatto di averlo con loro, ma afflitti perché presto lo avrebbero perduto. Pare che essi sperassero ancora di ottenere in qualche modo il rilascio del vescovo, ma Ignazio ripetè quello a cui li aveva già esortati per lettera, di non ostacolare, cioè, il suo cammino verso il martirio: «Temo che i l vostro amore mi rechi danno; perché è facile per voi fare ciò che volete, ma è difficile per me
conseguire Cristo, se voi non mi risparmiate». Egli pregò quindi per la Chiesa, per la fine della persecuzione e per l’amore e l’unità tra i cristiani. Portato in fretta al Colosseo, fu gettato ai leoni, morendo quasi immediatamente.
Nella sua lettera si era descritto come «frumento di Dio, (che deve essere)
Come detto, Ignazio nutriva un intenso desiderio di morire martire, e nei suoi scritti abbiamo la prima traccia della teologia cristiana del martirio: il cristiano deve imitare Cristo in tutto, passione compresa, e, quanto a sé, egli riteneva dunque che soltanto dopo aver patito le stesse sofferenze del Signore avrebbe potuto dirsi vero discepolo. Questo desiderio di partecipare alla Passione di Cristo, però, non significava (a differenza di autori più tardi) volerne imitare dettagliatamente la modalità fisica; se la vita cristiana è comunione totale con Cristo, sofferenza e martirio ne sono testimonianza e realizzazione massime, indipendentemente da come avvengono; sono il segno della piena fedeltà e unione a lui e, mediante lui, al Padre verso cui la morte di Gesù ci ha aperto la strada.
Per Ignazio, dunque, questa condivisione della Passione di Cristo deve essere anche parte di tutta la vita del cristiano, realizzata attraverso una condotta santa e un apostolato attivo, attraverso il rinnegamento di se stessi e l’apertura all’azione dello Spirito. Il pensiero del santo, lo si vede bene, si raccoglie dunque in una forte unità e l’importanza che, si è detto, Ignazio attribuiva all’eucarestia, ora si chiarisce ancor più, dal momento che proprio nell’eucarestia il cristiano viene associato alla passione di Gesù e quindi unito a lui in modo eccezionale.
Fonte: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler
0 commenti:
Posta un commento